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Buonafede della polizia

Nota 10. alla lettera diciannovesima di Roma Papale 1882

Il console inglese è detto nel testo che fece partir subito il Pasquali, temendo che il papa lo facesse carcerare di nuovo, sotto qualche altro pretesto. Questa precauzione del console potrà sembrare esagerata a chi non conosce Roma; ma chi conosce la maniera di agire di quel governo sa bene che ad esso non mancano mai pretesti per carcerare, condannare alle galere, ed anche alla morte, uomini innocenti. Non bisogna però credere che il governo romano condanni gli innocenti sapendoli innocenti, ma egli si fa una ragione per assicurare la sua coscienza: ed ecco come accade. Un tale, per esempio, per occulta delazione è accusato di un delitto e carcerato, si fa il processo, e non si può provare nulla; l’ accusatore sarà un cardinale, un prete, una persona affezionata al governo, allora egli non può sbagliare, lo sbaglio è nei giudici processanti che non han saputo accumular prove per dimostrar vera l’ accusa. I giudici nello Stato romano possono condannare un individuo sulla loro semplice convinzione morale. La convinzione morale consiste in questo. Quando il giudice si è fitto in capo, che quel tale debba esser reo, a dispetto della mancanza di prove e delle prove in contrario, egli può, per la sua convinzione morale, condannare l’ accusato, sebbene dal processo resulti innocente; ed una tale condanna nelle leggi pontificie è legale, ed il giudice è tranquillo nella sua coscienza. Per questa convinzione morale è stato condannato alle galere il Fausti, e cinquanta per cento almeno degli accusati politici sono stati per questa convinzione morale condannati alla morte, alla galera, all’ esilio.

Ma per tornare ai pretesti della polizia, citeremo un solo fatto fra i mille che potremmo citare.

Il signor Filippo Paradisi, a noi ben cognito, avea avuta molta parte nelle rivoluzioni di Roma nel 1848. Nel 1849 si ritirò in Francia; ma vecchio, di mal ferma salute, desiderava ritornare nel seno della sua famiglia, e respirare la sua aria nativa. Fece atto di sommissione, e domandò al governo papale il permesso di tornare in Roma. L’ ottenne facilmente; ma, siccome egli era uomo legale e pratico delle furberie della polizia romana, volle prendere tutte le precauzioni per assicurarsi della validità del permesso ottenuto. Dopo ciò, andò in Roma, ma appena giunto fu arrestato e gettato in prigione. Come accadde una simile cosa?

Il Paradisi non ricordò che alcuni anni prima, cioè nel 1847, il duca Torlonia gli aveva intentato un processo di libello, per un articolo di giornale scritto dal Paradisi, nel quale il Torlonia era trattato da ladro. Quel processo non aveva avuto seguito a cagione delle rivoluzioni, e il Paradisi non vi pensava più, credendo che l’ azione del Torlonia fosse perenta, o almeno dimenticata. La polizia papale però vi pensò, e prima di dare il permesso di tornare al Paradisi, fece che il Torlonia promettesse di riprendere il suo processo. Così il Paradisi al suo ritorno fu carcerato non per conto del governo, ma per conto del Torlonia; fu processato e condannato a cinque anni di galera, nella quale il povero Paradisi morì. Ecco con qual buona fede agisce il paterno governo pontificio!

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