Nota 2. alla lettera diciassettesima di Roma Papale 1882
Fra le altre cose che si era addossate 1' abate Pallotta, era quella di essere confessore del S. Uffizio. I carcerati del S. Uffizio, eccettuati coloro che sono carcerati per eresia, sono obbligati confessarsi ogni sabato. In quei tempi il confessore del S. Uffizio era 1' abate Pallotta. Sebbene però siano obbligati alla confessione, non gli è mai permesso di ricevere la comunione. Qualche volta la confessione di quei carcerati serve per la loro liberazione, non già perchè il confessore abbia alcuna influenza sopra gli inquisitori, ma perchè tante volte se il carcerato è furbo può con la sua ipocrisia ingannare i carcerieri. Ecco un fatto accaduto nel mio tempo. Un giovane appartenente ad una delle migliori compagnie equestri, e famoso per i suoi sforzi ginnastici, era carcerato nell'Inquisizione per aver detto qualche cosa contro ai preti. Costui, non vedendo la maniera di poter uscire, si diede al bigottismo, si confessava con gran fervore tutti i sabati, si faceva trovare sempre dal carceriere in preghiera, non parlava che di cose divote e con tale fervore che il carceriere lo credeva un santo. Finse una tosse, per cui il carceriere mosso a compassione lo lasciava passeggiare per prendere un poco d'aria nel cortile delle prigioni. Era il giorno dell'ottava del Corpus Domini, nel quale vi è la grande processione a S. Pietro, pochi passi distante dal S. Uffizio. Il carceriere volle mettere il giovine nella prigione per andare a vedere la processione; il giovane fu preso in quel momento da un accesso così forte di tosse che lo soffocava; allora il carceriere pensò di chiudere bene la porta del cortile e lasciarvelo, sicuro che non avrebbe potuto saltare un muro di cinque metri di altezza. Appena uscito il carceriere, il giovane messe in opera tutta la sua abilità ginnastica, passò il muro, andò nella camera del carceriere, si vestì dei meglio suoi abiti, lo derubò di orologio, anelli, denaro, ed uscì per la porta grande del palazzo, passando avanti il portiere, il quale lo credè un signore che fosse stato a visitare qualcuno dei RR. padri.