Home > Per non dimenticare > Roma Papale > Lettera quattordicesima

Regole de' Gesuiti

Nota 15. alla lettera quattordicesima di Roma Papale 1882

Affinchè la asserzione del testo non sembri esagerata, ne daremo le prove. Noi non citeremo il monita secreta, libro sull'autenticità del quale vi potrebbe essere che dire. Noi citeremo le regole stesse de' Gesuiti. Ne possediamo una copia di quelle regole che porta questo titolo: "Regulae societatis Jesu." Turnoni apud Cladium Michaelem typographum universitatis 1596, e vi è la incisione rappresentante il P. Ignazio di Lojola, che non era ancora nè santo nè beato. E siccome cotali libri sono rari ad aversi, non avendoli che i Gesuiti, ed essendo loro espressamente vietato di farli vedere agli estranei; così non sarà, speriamo, di noia ai nostri lettori se ne facciamo un brevissimo, ma fedelissimo estratto.

Incomincia il libro con un compendio delle costituzioni della società. Al numero 4 dice (traduciamo dal latino per comodo di chi non conoscesse quella lingua): "il modo di vivere esteriore per giuste cagioni, e riguardando sempre alla maggior gloria di Dio, è il modo di vivere comune:" quindi è vietata qualunque penitenza, od afflizione corporale, senza averne ottenuto speciale permesso dal superiore. Al numero 5 si ordina che appena un individuo entra nella società debba fare la confessione generale di tutta la sua vita, a quel Gesuita che gli sarà destinato dal superiore, e ne' due anni del noviziato debbono ogni sei mesi fare la loro confessione generale a quel confessore che sarà loro destinato dal superiore. I professi poi debbono farla ogni anno, al confessore che il superiore gli darà.

Al numero 6 è detto: "Uno sia il confessore di tutti, quello destinato a ciò dal superiore." Sottomettersi ad aprire la propria coscienza ad un uomo, e non avere neppure il magro piacere di scegliersi un uomo di sua confidenza, ci sembra tale, una tirannia da superare qualunque limite.

Ma si dirà: Il confessore è obbligato al segreto, per il sigillo della confessione. A quante cose si è obbligati, eppure non si fanno! Il sigillo della confessione è una bellissima cosa in teoria; ma in pratica è egli osservato? E poi in mano de' Gesuiti cosa è il sigillo? Quando tutto deve essere diretto alla maggior gloria di Dio, quando i mezzi per giungere a questo fine non sono mai cattivi, perchè sono indifferenti; se per la maggior gloria di Dio è necessaria una rivelazione, si avrà scrupolo a farla? Ma vi è anche il mezzo di servirsi della confessione sensa rivelarla direttamente. Quando un novizio deve essere ammesso alla professione, i padri anziani si adunano; il maestro de' novizi, che è il loro confessore obbligato, dà loro le informazioni, ed il suo parere per il primo; supponete che dica: "Il giovane è buono; ma io non lo credo atto al nostro ordine." Questo basta; tutti sono del mestiere e capiscono, ed il novizio è rimandato alla unanimità.
Evviva il sigillo!
Nel numero 7 è ordinato che se qualcuno per qualche particolare circostanza, come qualche volta accade, dovesse confessarsi da un altro, deve poi ripetere tutta intera quella confessione al confessore destinato dal superiore.

L'affetto santo per la famiglia è un delitto pe' Gesuiti: ecco cosa è ordinato al numero 8. "Ciascuno che entra nella società, siegua il consiglio di Cristo, Chi lascerà il padre etc.; ed abbia per abbandonato il padre, la madre, i fratelli, le sorelle, e quanti altri ha nel mondo; ritenendo detta a sè quella parola chi non odia il padre e la madre, non può essere mio discepolo: e così procuri di spogliare ogni affetto verso la carne ed il sangue ecc." Il Gesuita dunque non è più figlio, non più fratello, non più amico, non più parente; e cosa è dunque? È Gesuita.

Non solamente fra' Gesuiti è ordinata la delazione come cosa santa; ma nel numero 9 si ordina che l'accusato deve essere contento che sieno state riportate al superiore tutte le cose che sono state osservate in lui.

Parlando della ubbidienza, ecco cosa ordinano le regole de' Gesuiti. Al numero 31 e 34 e 35, si dice, essere cosa necessarissima ad un Gesuita, darsi interamente alla più perfetta ubbidienza, ed a riguardare il superiore, chiunque egli sia, come la persona stessa di Gesù Cristo; e non solamente ubbidire con l'opera, quantunque la cosa comandata fosse difficile e repugnante; ma, rinnegando la propria volontà (cioè la coscienza), fare sua propria la volontà del superiore; persuadendosi che tutte le cose comandate dal superiore sono giuste, e rinnegando ogni nostro giudizio cantrario alla cieca ubbidienza.

Traduciamo letteralmente il numero 36. "Ciascuno persuada sè stesso, che coloro che vivono sotto la ubbidienza, sono condotti e diretti dalla divina provvidenza; e che perciò debbono lasciare che i superiori lo trattino come se fosse un cadavere, che si lascia far tutto senza lagnarsi; ovvero come il bastone di un vecchio, il quale colui che lo tiene in mano se ne serve quando, dove, ed in qualunque cosa egli vuole." I lettori traggano le loro canseguenze da questa regola, e la concilino se è possibile con la libertà e la dignità dell'uomo, con la responsabilità della propria coscienza, col Cristianesimo.

Questa idea dell'ubbidienza, passiva e cieca, piace tanto al fondatore de' Gesuiti, che in una sua lettera sull'ubbidienza che scrisse ai Gesuiti portoghesi, inserita nel libro delle Regole, la sviluppa in modo da persuadere anche ai più scettici, che il Gesuita non è che un istrumento nelle mani del suo superiore, ch'egli rinunzia al carattere di uomo, rinunziando al grande beneficio di Dio, la ragione; rinunzia al carattere di galantuomo, rinunciando alla sua coscienza; rinunzia al carattere di Cristiano, rinunziando alla sua responsabilità davanti a Dio. Dopo di aver detto (numero 6) che sono in grande errore e grave pericolo, coloro i quali credono poter fare anche le cose buone e sante contro la volontà del superiore, al numero 7 dice: "Circa le quali cose (cioè circa le cose buone e sante), o fratelli carissimi, interamente, per quanto è possibile, deponete la vostra volontà. Date liberamente al Ministro di Dio quella libertà che il Creatore vi ha data."

Nei numeri 16 e 18 esclude affatto la idea che si possa disubbidire se il superiore comandasse cosa cattiva, escludendo la possibilità di un tale comando: ecco le sue parole: "Non guardate nella persona del superiore l'uomo soggetto ad errare, e sottoposto alle umane miserie; ma riguardate in lui la stessa persona di Cristo, che è somma sapienza, immensa, bontà, e carità infinita, il quale nè può essere ingannato, nè può volere ingannar voi. E siate certi che seguendo la volontà del superiore, voi seguite con tutta certezza la divina volontà. Voi dovete fermamente credere, che tutto quello che il superiore comanda è precetto e volere di Dio." Con questa dottrina la riserva di ubbidire in tutto quello che non è peccato che cosa diviene? Il peccato è impossile nel superiore come è impossibile in Dio e in Gesù Cristo ch'egli pretende rappresentare.

Affinchè poi i superiori conoscano bene i loro polli, nel numero 40 del sommario delle costituzioni, è ordinato che ogni Gesuita, alla maggior gloria di Dio, nell'entrare nella compagnia "debba manifestare al superiore tutta la sua coscienza con grande umiltà, purità e carità, non nascondendo nulla di quello col quale avesse potuto offendere Iddio, e renda ad esso, od a chi sarà da lui deputato, un intero conto della sua vita precedente; ed ogni sei mesi renda poi lo stesso conto incominciando dall'ultimo." E nel numero 41 dice che questo rendiconto non deve limitarsi agli atti compiuti, ma deve estendersi fino alle tentazioni ed ai pensieri, inguisachè manifestino la loro anima interamente. Lo stesso è ripetuto nella quarta delle regole comuni.

Dalla pag. 40 alla 44 vi è una istruzione del come debba farsi questa manifestazionè di coscienza. Essi non solo debbono spontaneamente aprire al superiore la loro coscienza; ma debbono pregarlo d'interrogarli sui capi seguenti: "primo, se viva contento secondo la sua vocazione; secondo, come si conduca circa l'ubbidienza dell'intelletto (cioè circa quella ubbidienza che consiste nel credere buono tutto quanto è comandato dal superiore), circa la povertà, la castità, e l'uso delle altre virtù, ed a quale di esse si senta più inclinato; terzo, se prova qualche turbamento d'animo, ovvero tentazioni moleste, se resista ad esse facilmente o difficilmente, e con quali modi; ed a quali affezioni o a quali peccati si senta inclinato; quarto, se ha formato giudizi o discorsi sopra qualche regola o costituzione dell'ordine, o contro una qualche disposizione de' superiori; quinto, cosa pensi dell'istituto de' Gesuiti, e de' mezzi di cui essi si servono per giungere al loro fine, e quale sia lo zelo ch'egli sente per le anime." Per non dilungarci soverchiamente, tralasciamo di tradurre gli altri nove punti su' quali deve cadere l'interrogatorio semestrale.

Ma quasi tutto ciò fosse poco, i Gesuiti ordinano la delazione, e la mascherano da cosa santa. Nella ventesima delle regole comuni, è ordinato che non solo si debbano riferire al superiore gli atti e le parole altrui, ma eziandio le tentazioni che si supponessero avere da un altro. I missionari debbono in ogni settimana scrivere minutamente al superiore non solo quello che han fatto, ma renderli informati dello stato del paese. Il ministro in Ogni casa di Gesuiti è lo spione ufficiale: ecco cosa è scritto nel numero 8 delle regole del ministro. "Noti e riferisca al superiore non solo tutti i difetti che avrà potuto scuoprire nella casa o nel collegio, o avrà d'altronde conosciuti; ma ancora qualunque altra cosa che creda conveniente al buon governo, tanto riguardo alle cose che gli sono state commesse, come su tutte le altre: per esempio come si osservi dagli individui l'ubbidienza, come si attenda alla orazione ec."

"I superiori delle case ed i rettori, scrivano una volta alla settimana al loro provinciale, circa lo stato delle persone e di tutte le cose, non solo di quelle che si fanno da' nostri, ma anche di quelle che si fanno dagli estranei e che per il ministero de' nostri sono conosciute; non solo informi del bene, ma anche del male; e la sua informazione sia fatta in modo che il provinciale possa conoscere quelle cose come se fosse presente." Con gli stessi dettagli e la stessa chiarezza i provinciali debbono scrivere al generale, acciò egli abbia tutto presente. "Nelle cose che richiedono il segreto, si usino que' vocaboli che non possono essere intesi che dal superiore. La cifra la dà il generale."

Quanto poi alle cose de' Gesuiti, esse debbono essere impenetrabili agli esteri: ecco cosa è ordinato ne' numeri 38 e 39 delle regole comuni. "Nessuno riferisca a que' di fuori quello che si fa o si pensa fare fra noi. Nessuno, senza espressa licenza del superiore, comunichi le nostre costituzioni, i nostri libri, ovvero scritti ne' quali si contengono le nostre ordinazioni o privilegi. Nessuno dia o mandi fuori le istruzioni spirituali, le meditazioni, o gli esercizi della società."

Finiremo questa nota con due regole alquanto originali. Una è la 14 delle regole comuni, nella quale si proibisce d'insegnare a leggere e scrivere ai laici; e se sventuratamente sapevano queste cose prima di essere Gesuiti, vi è la proibizione espressa d'imparare di più, senza la licenza del P. Generale. L'altra è il modo come i Gesuiti debbano presentarsi. "Quando parlano, specialmente con uomini di una qualche autorità, non li guardino mai in viso, ma piuttosto sotto gli occhi: evitino di arrugare la fronte, e molto più il naso, affinchè si veda esteriormente la loro serenità: nel loro volto si vegga sempre un sorriso e mai tristezza: non si tengano le labbra nè molto strette nè molto aperte."

Ecco un piccolo cenno delle regole de' Gesuiti estratto dal loro libro, che nessuno potrà smentire. I nostri lettori che vorranno fare su questi punti serie riflessioni, si persuaderanno, che in quello che noi diciamo de' Gesuiti non vi è alcuna esagerazione.
Vai ad inizio pagina.
« Nota precedente | Lettera | Nota successiva »