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Lettera quattordicesima
Enrico ad Eugenio
Roma, Aprile 1849.
Tu forse ti aspetterai di leggere in questa mia il patetico racconto della mia incarcerazione: ed infatti, stando all'ordine cronologico dei fatti, tale dovrebbe esserne il soggetto; ma io sento l'imperioso bisogno di farti parte delle mie idee sul Gesuitismo: esse non sono più quelle che ne aveva una volta, esse non sono modificate, ma sono interamente cangiate (Nota 1 - Non è disonorevole cambiare convinzione).
Tu sai che io era interamente gesuita di cuore e di animo, sebbene non ne avessi l'abito (Nota 2 - Si può essere Gesuita ed onesto): tu sai che aveva fatto con gran divozione e buonafede gli esercizi di S. Ignazio, ed era pronto a farli di nuovo dopo Pasqua, se non fossi stato incarcerato; ma alcune conversazioni col signor pasquali che io non ti ho mai raccontate, mi avevano messo un poco in sospetto sul riguardo di essi. I miei sospetti erano poi divenuti certezza, quando nel lungo silenzio di due anni di prigionia aveva raccozzate tutte le mie idee, e confrontandole, e riflettendoci sopra, e ragionando, era venuto a scoprire quello che non avrei mai scoperto seguitando a credere tutto bene, secondo la mia buonafede. Tu mi domanderai come sono giunto a tale scoperta; ed io te lo dirò francamente.
Il mio confessore era francese, anzi era il segretario del P. assistente di Francia. Egli non aveva nessun sospetto sopra di me, anzi mi amava molto; e, tenendomi come un affigliato (Nota 3 - Chi sono gli affigliati) sicuro, si serviva spesso di me per farmi copiare le lettere: così mi è accaduto molte volte di restar solo nella sua camera per quella bisogna. Allora, confesso la mia indelicatezza, per una certa curiosità giovanile, guardava nel copialettere, altre lettere che io non aveva copiate; e così venni in cognizione di cose, che, sebbene allora non comprendessi, pure ripensandovi sopra nella prigione, e paragonandole con quello che già sapeva e con gli avvertimenti del Valdese, mi fecero cadere il velo dagli occhi. Però tutto questo non mi avrebbe fatto conoscere il Gesuitismo: esso è un mistero impenetrabile al novantanove per cento de’ Gesuiti stessi (Nota 4 - Organizzazione de' Gesuiti). Dio volle che fosse grande amico del mio ospite un certo Abate P. che per tanti anni era stato Gesuita, e poi, fingendo una malattia incurabile, aveva ottenuto il permesso di uscirne. Questo Abate vecchio, sentendo la mia storia, mi disse: "Povero giovane, voi siete una vittima dei Gesuiti." Il giorno dopo, l'Abate venne nella mia camera, e mi svelò il mistero del Gesuitismo, che ti racconterò in breve.
La massima fondamentale del Gesuitismo è esposta negli Esercizi di S. Ignazio: tutti i mezzi sono buoni, purchè conducano al fine. Essa veramente non è espressa con queste parole, che farebbero orrore a qualunque galantuomo; ma per quanto le parole sieno inargentate, come le pillole di aloè, pure sotto la pillola di argento sta la iniquità: voglio dire, che se quelle parole possono gettare alquanto la polvere sugli occhi, pure il senso è quello che noi gli abbiamo dato (* Vedi lettera I: Esercizi spirituali di S. Ignazio). Ora quale è il fine che dicono voler raggiungere i Gesuiti? Se lo domandi a loro, ti diranno: "La maggior gloria di Dio." È questa la loro divisa, la parola di ordine di tutta la loro società: ad majorem Dei gloriam. E su questo punto l’Abate P. mi fece notare una cosa alla quale io non aveva mai riflettuto: essi non dicono di operare per la gloria, ma per la maggior gloria di Dio: non è la gloria positiva, ma la gloria di Dio comparativa, che essi dicono procurare. In forza di questo gingillo grammaticale, che è la inargentatura della pillola, si apre la strada a tutte le spiegazioni: la pillola è così bene inargentata che ti sembra veramente un globettino di argento; ma il farmacista che la ha fatta sa che è aloè. Portiamo un esempio de’ più spirituali. Sia la salvezza delle anime lo scopo che si propone un Gesuita: egli deve essere indifferente nella scelta dei mezzi, e solo deve badare che conducano al fine: la gloria di Dio esigerebbe la sincerità, la verità; ma se, parlando sinceramente e con verità, si prevede che non si giungerà allo scopo desiderato; allora, i mezzi essendo indifferenti, si può scegliere la finzione, la menzogna, che si chiama non più col suo nome, ma santa industria: nell’agire con verità si darebbe gloria a Dio; ma siccome gli si dà maggior gloria colla conversione di un’anima, così si possono usare le sante industrie per la maggior gloria di Dio. Fa’ tu le applicazioni di questi principii che si presentano sotto aspetto di pietà, ed ingannano i semplici, e vedrai con essi giustificati i regicidii, le menzogne, le calunnie, le cospirazioni.
Vediamo ora come sono applicati questi principii, in generale, da’ Gesuiti, anche i più buoni, senza farsene il più piccolo scrupolo. La maggior gloria di Dio, essi dicono, vuole che tutti gli uomini sien salvati, e che giungano alla conoscenza della verità; ma la verità non è che nella Chiesa cattolica romana, e la salvezza non può ottenersi fuori di essa: dunque dobbiam cercare che tutti gli uomini divengano cattolici, e che niuno di essi ci sfugga. Ma, per ottenere questo fine, di quali mezzi ci dobbiam servire? I mezzi sono indifferenti: la ignoranza, per esempio, è il mezzo sovrano per ritenere gli uomini nel Cattolicismo; quindi essi si fanno un dovere di mantenere e fomentare la ignoranza ne’ popoli; ed un Gesuita di buona fede vede ne’ progressi delle scienze la rovina della religione. Ma è un’ardua impresa mantenere la ignoranza ai nostri tempi e non si può fare svelatamente: quindi essi mantengono l’ignoranza sotto l’aspetto di scienza (Nota 5 - Istruzione che dànno); quindi essi ed i loro affigliati vogliono il monopolio dell’insegnamento, per inviluppare la scienza in metodi inestricabili, ed occupare gl’intelletti in vane questioni, anzichè nella solidità della scienza. Che se qualcuno de’ loro scolari a loro dispetto si solleva sugli altri, per la potenza ch’essi hanno, costui è perseguitato o calunniato o come eretico, o come liberale, secondo i paesi ov’egli dimora; e ciò per la maggior gloria di Dio, acciò non distragga gli altri dalla via di salute.
Per attirare o mantenere i popoli nella religione romana, bisogna ispirare e fomentare la superstizione: la superstizione sarebbe cosa cattiva; ma diviene buona, se è abilmente usata, e se conduce al fine. Ed ecco il perchè tutte le moderne superstizioni hanno origine da’ Gesuiti: ma siccome vi sono degli uomini i quali aborriscono tutto ciò che in religione è moderno; così si ricorre alla pia frode, facendo credere, e predicando, e stampando che quelle devozioni sono antichissime (Nota 6 - Antichità della corona. Scala santa). Che se uomini dotti e sinceri smentiscono evidentemente la impostura, allora i Gesuiti, alla maggior gloria di Dio, li dichiarano eretici, giansenisti, increduli, secondo i luoghi ed i tempi (Nota 7 - Come si carpiscono le ritrattazioni).
Non è possibile che ti sviluppi in una lettera quanto il buon Abate P. mi disse sul Gesuitismo. Io ti dirò quello che fanno pubblicamente e senza mistero i Gesuiti in Roma per la maggior gloria di Dio, acciò tu ne possa avere una idea.
In Roma i Gesuiti agiscono manifestamente e senza timore: sono in casa loro. L’intera società romana di tutte le classi è nelle loro mani. Per quello che riguarda la istruzione, essi hanno il Collegio Romano, ove circa mille giovani ricevono da essi istruzione gratuita (Nota 8 - Come i Gesuiti insegnano gratis): hanno il Collegio Germanico (Nota 9 - Collegio germanico), ove un centinaio di giovani tedeschi, prussiani, ungheresi, bavaresi e svizzeri sono sotto la loro disciplina; e, finita la educazione, sono mandati ai loro paesi missionari, parrochi ed anche Vescovi. Hanno i collegi Irlandese e Scozzese (Nota 10 - Collegi irlandese e scozzese), nei quali si educano giovani per essere poi mandati bene ingesuitizzati ne’ loro paesi. Hanno il Collegio della Propaganda, ove si educano più di trecento giovani di tutti i paesi, per poi rimandarli gesuitizzati ai loro paesi. Hanno il Collegio de’ nobili, ove quasi tutti i figli della nobiltà romana sono educati gesuiticamente. Per la istruzione delle donne vi sono le dame del S. cuore che educano le nobili; le monache del Buon Pastore, per il ceto medio; e le Maestre Pie, per il basso popolo.
Tutti gli scolari de’ Gesuiti sono obbligati di confessarsi dai Rev. Padri: e qui è la gran messe de’ Gesuiti. Quei giovani, educati da loro, che sentono sempre le loro prediche, le loro istruzioni, non possono ricusar nulla a quegli uomini che esercitano una influenza magnetica su di loro. I Gesuiti poi destinati ad ascoltare quelle confessioni, sono scelti con grande abilità dai superiori: sono quegli che hanno il particolare dono d’insinuarsi ed impadronirsi dell’animo de’ giovani: essi non si contentano di ascoltare la confessione de’ peccati di quei giovinetti; ma, fingendo interessarsi sommamente di essi, fanno con sì bella maniera tante e così svariate interrogazioni, che vengono a sapere dal giovane che si confessa tutto lo stato della famiglia, la condotta de’ suoi parenti, l’andamento della casa, le persone che la frequentano, i discorsi che vi si fanno; e così il giovanetto inesperto diviene spesse volte, senza avvedersene, l’accusatore dei propri parenti. È questo uno dei mezzi di cui si servono i Rev. Padri per la loro polizia segreta.
Questo solo mezzo non raggiungerebbe il loro scopo: ad essi non basta conoscere i segreti delle famiglie; essi vogliono tutto dirigere a loro modo, cioè per la maggior gloria di Dio: ed hanno perciò inventate tante congregazioni, per potere sotto l’aspetto di religione dominare tutta la società. L’abate P. mi rammentava le congregazioni spirituali che hanno stabilite solamente in Roma i Gesuiti, oltre la casa di esercizi di S. Eusebio, di cui ho parlato nella mi prima lettera, quando vedeva le cose nel senso dei Rev. Padri; ma l’Abate mi spiegò quegli esercizi nel loro vero senso. Oltre questo mezzo, e quello della confessione degli scolari, i Gesuiti dirigono in Roma le seguenti congregazioni.
Nella chiesa sotterranea del Gesù vi è una congregazione di nobili, alla quale sono aggregati tutti i nobili romani: i Gesuiti sono i loro direttori, confessori e predicatori; ed eccoli con questo mezzo padroni dell’aristocrazia. Hanno in una cappella al piano terreno della casa del Gesù una congregazione di mercanti, alla quale sono aggregati quasi tutti i negozianti di Roma: i Gesuiti ne sono i confessori, i predicatori, i direttori; e così per mezzo di questa congregazione essi non solo sono al giorno di tutti gli affari, ma in gran parte li dirigono. In una cappella interna del Collegio Romano vi è una congregazione chiamata prima primaria, alla quale sono aggregati bottegai ed artigiani romani, diretti sempre da’ Gesuiti. Nella Chiesa di S. Vitale (Nota 11 - I contadini ed i Gesuiti) vi è una congregazione di contadini; e così essi sono al giorno degli affari dell’agricoltura. Nei bagni di Castel S. Angelo, ove sono i condannati, essi hanno e dirigono una congregazione spirituale di galeotti (Nota 12 - I condannati ed i Gesuiti); ed ecco nelle loro mani la polizia delle galere. Nelle carceri de’ malfattori hanno un’altra congregazione spirituale, e tutte le domeniche e feste passano delle ore con que’ prigionieri a segreti colloqui, per salvare la loro anima, bene inteso. I carabinieri sono stati posti sotto la direzione spirituale dei Gesuiti, ed ogni anno debbono fare gli esercizi spirituali sotto la loro direzione.
Ma fino ad ora non abbiamo parlato del sesso devoto per eccellenza: forsechè le donne sono abbandonate da’ Gesuiti? Tutt’altro: anzi sono la loro parte più cara. Nell’oratorio del Caravita (Nota 13 - Il Caravita) vi è una congregazione di dame, alla quale appartengono tutte le dame romane, e sono sotto la direzione dei Gesuiti. Nello stesso oratorio vi è una congregazione di semidame, della quale fanno parte le signore romane appartenenti al ceto medio; vi è la congregazione delle missioni (Nota 14 - Le missioni in Roma), della quale fanno parte i più bigotti fra gli artigiani, i servitori, i cuochi, le serve, e le vecchie bigotte. Sicchè tutte le classi della società sono in mano de’ Gesuiti.
Non tutti però appartengono a queste congregazioni: bisogna dunque, per la maggior gloria di Dio, cercare anche gli altri; e si cercano nelle missioni e ne’ confessionali.
I Gesuiti sono assidui al confessionale: la loro chiesa del Gesù ha una quantità di confessionali, e sono sempre tutti occupati: vi sono i confessori della mattina e quelli del dopopranzo: la sera, al Caravita e nelle cappelle delle congregazioni, vi sono confessori per gli uomini. I confessori dei vari ceti di persone sono destinati da’ superiori, secondo i loro talenti. Coloro che sanno meglio insinuarsi nell’animo dei giovanetti, sono destinati a confessori della scolaresca: i nobili o almeno coloro che sanno i modi aristocratici, sono destinati confessori de’ nobili: coloro che sanno introdursi nelle grazie (sempre però spiritualmente) del bel sesso, sono destinati alle congregazioni di donne, ed ai confessionali in chiesa, ove ordinariamente non vanno che donne. Così ogni classe di persone trova fra’ Gesuiti abilissimi confessori, ed essi alla maggior gloria di Dio sanno bene trarre profitto dal concorso.
L’Abate P., che per tanti anni era stato gesuita, volle darmi una idea del loro governo: io te ne darò un cenno. Il governo gesuitico è eminentemente monarchico: uno è il loro capo che si chiama Generale: egli può fare quello che vuole; la sua carica è a vita, e non deve rendere ragione a nessuno, purchè cammini secondo lo spirito dell’istituto, cioè diriga tutti gli ordini alla maggior gloria di Dio: se si allontana da questo scopo, può essere deposto dagli assistenti, i quali convocano la congregazione generale per eleggerne un altro; ma questo caso non si è mai verificato. Ecco come il P. Generale ha in mano il governo di tutto il mondo cattolico romano.
Ogni Gesuita è obbligato alla obbedienza cieca verso il suo superiore: inguisachè, secondo le espressioni della loro regola, il Gesuita deve essere nelle mani del superiore quello che è il cadavere nelle mani del chirurgo che lo seziona (Nota 15 - Regole de' Gesuiti). Il Gesuita quando agisce per obbedienza non è mai responsabile delle sue azioni; il Gesuita non ha più coscienza, egli la ha alienata al suo superiore per la maggior gloria di Dio; egli deve ciecamente obbedire e riguardare il superiore come Gesù Cristo stesso, come se la voce del superiore fosse la voce di Dio.
È vero che nella loro regola si dice che se il superiore comandasse cosa che fosse manifestamente peccato, non si deve ubbidire; ma cotale eccezione è illusoria. Primo: perchè, posto che la voce del superiore è la voce di Dio, è impossibile che Dio ordini un peccato; secondo: perchè nella dottrina de’ Gesuiti è difficile trovare un peccato (Nota 16 - Morale de' Gesuiti).
Per i Gesuiti il mondo è il loro regno, e le diverse nazioni non sono che provincie di quel regno del P. generale. Per esempio, l’Inghilterra, la Irlanda e la Scozia, sono una semplice provincia gesuitica: tutta l’Italia non è che una provincia: la Francia è un’altra provincia: la Svizzera intera non ha neppure l’onore di essere considerata come provincia; ma la Svizzera francese è unita alla provincia di Francia, e quella tedesca alla provincia di Germania; e così degli altri regni. Ognuna delle provincie mantiene in Roma presso il generale un rappresentante col titolo di P. assistente; e codesti Padri assistenti assistono e consigliano il P. generale dando semplicemente il loro parere puramente consultivo, quando ne sono da lui richiesti.
Ogni individuo appartenente alla compagnia deve fare ogni giorno la relazione di quanto ha veduto pensato, o sentito, sia da’ suoi compagni sia dagli estranei: e questa relazione deve essere fatta ad un Gesuita a ciò destinato, che si chiama il P. spirituale, ovvero direttamente al superiore. I superiori debbono fare gli estratti di tutte le relazioni, raccogliere quanto in esse vi può essere d’interessante e mandare in ogni settimana la sua relazione al P. Provinciale. I Provinciali, a loro volta, fanno la loro relazione che ogni settimana inviano al P. generale; il quale, a sua volta, fa il sunto ed ogni giovedì nella udienza particolare che ha dal Papa riferisce e consulta con Sua Santità (Nota 17 - Pio VIII e il generale de' Gesuiti).
Tutte queste cose fan sì che il generale de’ Gesuiti è temuto dal Papa e dai sovrani; imperciocchè egli solo, per la via della coscienza di tutti i suoi sudditi, ch’egli solo ha in mano, conosce tutte le fila di tutta intera la società cattolica romana. I Padri assistenti sono gli uomini più avveduti delle loro provincie; uomini mandati a Roma acciò possano bene informare e consigliare il P. generale. Questi prende concerto con i suoi assistenti, secondo le notizie che riceve da’ Provinciali, o dalla società di S. Vincenzo (detta de’ Paolotti) affigliata: se vede, per esempio, che sia per la maggior gloria di Dio organizzare una rivoluzione in un regno, il P. generale prende i concerti col P. assistente di quel paese, il quale, per la ricognizione dei luoghi, delle persone, del carattere nazionale, può suggerire buoni avvertimenti; poi dà l'ordine al Provinciale d quel regno, e questi invia la parola d’ordine ai suoi sudditi ed affigliati, i quali, obbedienti come cadaveri, agiscono per lo più senza saperne lo scopo; agiscono ne’ pulpiti, ne’ confessionali, nelle scuole, nelle conversazioni, e sono come le ruote di una macchina abilmente mossa, che fanno il loro movimento senza sapere quale ne sarà il risultato. In questo modo il P. generale che è in Roma potrebbe, se lo credesse della maggior gloria di Dio, predire o far predire l’avvenimento dei mesi, ed anche degli anni prima che accadesse (Nota 18 - Avvelenamento di Clemente XIV), senza timore di rimanere smentito. Ecco il perchè i Gesuiti sono protetti dai sovrani e dai governi. Un sovrano che non è loro amico o presto o tardi prova la loro vendetta.
Ma tu dirai, che in questo vi è molta esagerazione, che quand’anche la politica de’ Gesuiti fosse quella indicata dall’Abate P., pure i Gesuiti non essendo più ora da per tutto, le loro fila sarebbero rotte, ed il loro generale non avrebbe più quella influenza. Questa difficoltà viene naturalmente alla mente di ognuno; ed io non lasciai di proporla al nostro Abate, il quale mi rispose presso a poco così:
"I Gesuiti, mio caro amico, non sono sempre vestiti col loro abito da Don Basilio, nè sempre vivono ne’ conventi: in que’ paesi ove essi non possono esistere legalmente, vi esistono in altro modo; anzi posso dirvi che in que’ paesi la influenza del P. generale è più grande. I Gesuiti esistono in tutti i paesi protestanti sotto il nome di missionari, con abito da prete, ed anche con abiti laicali: essi vi esistono sotto altro nome. Anzi in que’ paesi il P. generale manda gli uomini i più abili, i quali si fanno tutto a tutti, per guadagnar tutti alla setta: così coloro che in que’ paesi non ardirebbero dichiararsi Gesuiti, ingannati dall’apparenza degli emissari, che all’occasione dicono male dei Gesuiti, divengono Gesuiti senza avvedersene. Prendiamo l’Inghilterra per esempio. Essi legalmente non vi esistono; eppure non hanno mai abbandonato quel paese; ed io vi assicuro che sono in maggior numero in Inghilterra che non lo sieno in Italia: ed ecco il come. Tutti i preti cattolici inglesi, scozzesi, irlandesi sono allievi de’ Gesuiti, e dipendenti da loro, sebbene alcuni di essi non conoscano questa dipendenza. Essi fanno proseliti in tutte le classi della società; inguisachè vi sono Gesuiti nel parlamento, nel clero anglicano, fra i Vescovi anglicani, e forse anche più su. Vi sono Gesuiti fra i Protestanti; e ciò non vi faccia specie: ricordatevi del celebre Marco Antonio de Dominis (Nota 19 - Marco Antonio de Dominis): eppoi essi dicono che tutte le cose sono pure per i puri; che fingersi protestante per ricondurre i Protestanti alla Chiesa è un’opera santa."
"Il Puseismo, mi diceva l’Abate P., è un’opera de’ Gesuiti. Sarebbe stata una follia tentare di richiamare l’Inghilterra al Cattolicismo, presentandosi scopertamente. Era cosa già provata ed era male riuscita. Lo aveva tentato quel grande ingegno di Bossuet, lo avevano tentato i Giansenisti francesi con transazioni, e prima lo avevano tentato i Gesuiti con rivoluzioni (Nota 20 - Cospirazione delle polveri); ma tutti i tentativi diretti furono inutili. Le rivoluzioni non attaccano in Inghilterra, paese libero per eccellenza: i sofismi de’ teologi non fanno effetto sopra un popolo positivo, e sono sventati dal suo clero dotto: bisognava dunque tentare un’altra via, ed i Gesuiti la tentarono, e con gran frutto: ed ecco la via che tentarono.
"Finoacchè il clero anglicano fosse stato nelle cose religiose attaccato minutamente alla Bibbia, era cosa impossibile chiamarlo al Cattolicismo: bisognava distrarlo da quello studio, e presentargliene un altro che potesse presentare un addentellato alla Chiesa Romana. I Gesuiti invaghirono gli Anglicani dello studio delle antichità ecclesiastiche; facendogli travedere qual vantaggio ne sarebbe venuto alla loro Chiesa, se co’ monumenti della sacra antichità avessero provato che le loro dottrine ed i loro usi erano precisamente quelli della Chiesa dei primi secoli. I buoni Inglesi caddero nella rete, e si diedero allo studio lungo, laborioso, difficile delle antichità; e così non lasciarono interamente la Bibbia, ma la interpretarono cogl’incerti monumenti dell’antichità ecclesiastica. Il celebre Bingam pubblicò la sua grande opera sulle antichità ecclesiastiche, e fu la involontaria cagione del Puseismo. Il Papa, in Roma, avvertito da’ Gesuiti, non perdè il suo tempo: ed ecco comparire in Roma i libri del famoso P. Mamacchi, di Bosio, di Arrighi, e di tanti altri sullo stesso soggetto. E siccome in Roma vi sono le catacombe, e i monumenti, veri o falsi, abbondano; così i teologi romani si sono trovati avere il vantaggio. Le catacombe sono in mano de’ Gesuiti; e così si è fatto, sempre alla maggior gloria di Dio, un terribile strazio dei monumenti.
"Intanto i Gesuiti inglesi spingevano sempre più il clero anglicano allo studio di quelle antichità, e gli facevan venire la volontà di andare a Roma per vederle co’ loro propri occhi. I Gesuiti di Roma si guardavano bene dal convertire codesti inviati; ma, padroni delle catacombe e di un magnifico museo nel Collegio Romano, li invogliavano sempre più in quello studio, e ne facevano altrettanti apostoli delle antichità. E così i Gesuiti d’Inghilterra e quelli di Roma sono giunti a spingere una gran parte del clero e dell’aristocrazia inglese verso quella setta che si chiama Puseismo, che è il verme roditore della Chiesa anglicana."
Mi diceva inoltre l’Abate P. che il razionalismo che rode il Protestantesimo tedesco, è anch’esso opera de’ Gesuiti, per ricondurre al Cattolicismo la Germania.
Negli Stati Uniti, i Gesuiti hanno stabilito la congrega dei Paolotti, diretta da loro, e dipendente dal loro generale: e la maggior parte de’ Paolotti giurerebbe in tutta buona fede di non aver che far nulla co’ Gesuiti; perchè l’intrigo è noto solo ad alcuni capi principali.
Ne’ paesi protestanti poi essi usano un’altra tattica. Essi predicano e praticano un Cattolicismo che ne’ paesi cattolici sarebbe una eresia. Essi permettono, contro i decreti dei Papi e de’ concili, la lettura della Bibbia in lingua volgare; per far vedere che i Protestanti calunniano la Chiesa romana quando dicono che essa proibisce la lettura della Bibbia (Nota 21 - Lettura della Bibbia proibita). Le superstizioni sono assai meno che nei paesi cattolici; il culto è molto più semplice: e tutto ciò per ingannare i semplici, e far loro credere che la Chiesa romana è calunniata da’ loro controversisti. Essi cercano di acquistarsi una certa popolarità con opere apparenti di carità, che fanno in modo da farle comparire assai più di quello che sono: essi sanno tutte le vie d’insinuarsi presso i grandi, e, secondo le circostanze, cercano di rendersi necessari.
Uno dei mezzi ch’essi usano per rendersi necessari, specialmente ne’ paesi protestanti, è di eccitare nascostamente delle discordie e formare, senza sembrarne gli autori, partiti politici nel paese. Si formano, per esempio, due partiti protestanti in un paese, in un governo, in un parlamento: i Gesuiti con tutti i Cattolici da loro diretti dovrebbero restarsene neutrali; ma essi invece abilmente esaminano i capi de’ due partiti, e si gettano in massa a sostenere quel partito che gli fa più larghe promesse (Nota 22 - Repubblica di Ginevra); e così, immedesimati una volta nel partito vincitore, che ha vinto per cagion loro, cercano distruggere il partito avversario: distrutto quello, cercano distruggere anche il partito al quale si sono attaccati, per restare padroni del campo.
Ma come, mi dirai, si possono spiegare tali iniquità? Non si può essere così scellerati senza un gran fine: quale è dunque questo fine? non si possono fare tante cose senza grandi mezzi: dove e come essi li hanno? Queste interrogazioni feci anch’io all’Abate P., e le rivelazioni ch’egli mi fece in risposta formeranno il soggetto della lettera prossima. Addio, mio buon amico: ama sempre il tuo