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Torture

Nota 8. alla lettera tredicesima di Roma Papale 1882

Quale sia la tortura che si dà attualmente nel S. Uffizio di Roma, si vedrà in un'altra lettera. Le antiche torture sono andate in disuso: chi volesse conoscerne i dettagli non avrebbe che a leggere il libro chiamato "L'arsenale della S. Inquisizione." Ma siccome quel libro è raro, così daremo un breve cenno di alcune di quelle torture.

E prima bisogna osservare che la tortura nel dizionario dell'Inquisizione non si chiama sol suo nome, ma si chiama esame rigoroso. Citiamo le parole di quel libro stampato in Roma nel 1730 e dedicato a S. Pietro Martire. Alla pag. 263 della sesta parte al titolo "Della maniera d'interrogare i rei nella tortura," dice: "Il reo (nel codice dell'Inquisizione non vi sono nè accusati nè prevenuti; una volta che si è nelle loro mani, si è subito reij), negando i delitti, ed essi non essendo provati, se nel tempo assegnato per le difese, non ha dato alcuna ragione convincente a sua discolpa; ovvero se, finite le difese, non si è purgato dagl'indizi che si hanno contro di lui nel processo, per trarre da lui la verità, è necessario venire contro di lui all'esame rigoroso; essendo stata inventata la tortura per supplire al difetto delle testimonianze, quando esse non bastano per fornire la prova intera contro il reo: e questo non è punto contrario nè alla mansuetudine, nè alla dolcezza ecclesiastica: anzi quando gl'indizi sono legittimi, sufficienti, chiari, e concludenti nel loro genere, l'inquisitore può e deve farlo senza alcun biasimo, acciò i rei, confessando i loro delitti, si convertano a Dio, e salvino l'anima loro."

La tortura si dava anche ai testimoni, se essi non dicevano quello che voleva la Inquisizione. Nè si creda che il reo confessando si liberasse dalla tortura. Lo stesso libro alle pag. 267, 268 e 270, parla del modo di dar la tortura sopra l'intenzione solamente, per iscoprire quale fosse la sua intenzione nel fare o dire le cose da lui confessate. E se anche su questo avesse confessato, si dava la tortura per iscoprire i complici. Ed anche se per evitare la tortura avesse accusati tutti quelli i cui nomi gli venivano a memoria, si dava la tortura per iscoprirne degli altri: sicchè nessuno era da essa esente.

Circa il modo ipocrita di dare la tortura, ecco le parole del Direttorio degl'inquisitori di Eymeric al titolo "de tertio modo procedendi in causa fidei per tormenta" pag. 480, 481: "Appena pronunciata la sentenza di tortura, i ministri (birri o carnefici) si dispongono a tormentare il reo: e mentre essi preparano l'occorrente, il Vescovo e l'Inquisitore, o personalmente, o per mezzo di altri uomini pii e zelanti nella fede, inducono il reo a confessare liberamente la verità: che se egli non confessa, ordinano ai ministri di spogliarlo (anche se è donna), ed essi ubbidiscono prontamente, non allegri, ma quasi turbati (non laeti, sed quasi turbati), e lo spogliano sollecitamente, e mentre lo spogliano lo inducono a confessare. Che se ancora è ostinato, sia bello e nudo tratto a parte da uomini probi, e gli si prometta salva la vita se confessa, purchè giuri di non ricadere nello stesso delitto… che se nè per minaccie vorrà confessare, allora sia tormentato ecc."

La tortura durava mezz'ora, e la legge vietava di ripeterla; ma gli inquisitori con una distinzione teologica eludevano la legge. Citiamo le parole dello stesso Direttorio nel luogo citato. "Che se, abbastanza tormentato, non vorrà confessare la verità, gli si facciano vedere tutti gli altri tormenti, e gli si dica che bisogna che li provi tutti fino a che non avrà confessato. Che se neppure in tal modo si spaventerà, allora si assegnerà l'indomani, o il giorno dopo per continuare la tortura, non per replicarla; perchè essa non deve essere ripetuta, ma non è proibito di continuarla." Cosa ve ne pare di questa distinzione?

Non diremo nulla della tortura della corda con la quale si slogavano le braccia; perchè essa è abbastanza conosciuta: ed è la tortura più mite che dava il S. Uffizio. Diremo una parola sulla tortura del fuoco e quella dell'acqua.

La tortura del fuoco si dava a questo modo. Il reo, dopo aver sofferta costantemente la tortura della corda, era condotto avanti un camino pieno di carboni accesi: era legato fortemente ad un cavalletto, in modo che non potesse fare il più piccolo movimento; qui sic suppositus, nudatis pedibus, illisque lardo porcino inunctis et in cippis juxta ignem validum retentis. Comprendete? Co' piedi nudi, unti con lardo, e ritenuti con ceppi per mezz'ora sopra un grandissimo fuoco! ecco il misericordioso tribunale de' preti! Ma gl'inquisitori avevano la ipocrita cautela di protestare che se da quella tortura ne avveniva la morte, o altro danno al paziente, ciò non doveva essere attribuito a loro, ma al paziente stesso, perchè non aveva voluto confessare.

La tortura dell'acqua consisteva in questo. Si stendeva il paziente sopra una specie di cavalletto fatto a guisa di mangiatoia; si legava fortemente ad esso: poi un carnefice con una corda per mezzo di un randello stringeva le due gambe ai malleoli, ritenendo sempre in mano il randello; un altro stringeva nello stesso modo i due polsi. Si portava un gran secchio d'acqua, ed un terzo manigoldo, dopo avere con una specie di piccola tenaglia di legno chiuso bene il naso al paziente, poneva con la sinistra nella bocca del medesimo un imbuto, mentre avendo nella destra una tazza, con essa attingeva l'acqua dal secchio, e la versava nell'imbuto: intanto i due altri manigoldi torcevano il randello; e quell'infelice, soffocato dall'acqua, tormentato dal dolore, impedito dal respirare, non potendosi muovere, preso da assalti di tosse, soffriva tormenti che il più delle volte cagionavano la morte per rottura di vena nel petto. E questo tribunale è da' preti chiamato santo!
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