Legati pro remedio animae
Nota 5. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882
L'abate Muratori, nella sua dissertazione 68 delle Antichità Italiane, prova con molti documenti che non solo col denaro si comperano le grazie e le indulgenze, ma si scontano anche i peccati; e dice che nel medio evo in quasi tutte le donazioni fatte alle chiese od a' preti, s'incontra alcuna delle seguenti formule: pro remissione peccatorum; pro mercede; ad mercedis augmentum; pro remedio o redemptione animae meae. Rapporta lo stesso autore una epigrafe inventata da' preti che si faceva porre da' notai sopra quegli atti; che in que' tempi d'ignoranza faceva un grandissimo effetto: eccola: "Quisquis in sanctis et venerabilibus locis ex suis aliquid contulerit rebus, juxta auctoris vocem, in hoc seculo centuplum accipiet; insuper, et quod melius est, vitam possidebit aeternam."
Nell'antica Chiesa, per i pubblici peccati erano da' canoni assegnate pubbliche penitenze. Nel medio evo, s'incominciarono a tramutare in pagamento alla Chiesa, ossia a' preti, le penitenze; allora il denaro dato a' preti si chiamò la redenzione dell'anima. Da questa idea sono venute le tasse della cancelleria, che non sono, come male interpretano alcuni, il prezzo del peccato; ma il prezzo equivalente alla penitenza a quello annessa. Con questa teoria, le sacre congregazioni di Roma fanno tuttora pagare le grazie che concedono.