Home > Per non dimenticare > Roma Papale > Lettera dodicesima

Povertà e carità gesuitica

Nota 2. alla lettera dodicesima di Roma Papale 1882

È cosa piuttosto difficile entrare nella camera di un Gesuita: non vi sono ammessi che gli adepti: io ne ho vedute parecchie, e posso descriverle. La camera di un Gesuita è semplicissima: un piccolo letto discretamente comodo e ben netto, una semplice tavola da scrivere, uno scaffale con libri, un genuflessorio e due sedie di paglia formano tutto il mobilio: in luogo di tende alla finestra, vi sono due telarini in legno con carta verde, che dànno una luce comoda e sana. La camera di un professore ha le pareti coperte di scaffali ripieni di libri, che trattano il ramo della scienza ch'egli professa. Ogni professore ha libero accesso alla magnifica biblioteca del Collegio Romano, forse l'unica biblioteca di Roma che sia al corrente di tutte le opere teologiche ed ecclesiastiche che si pubblicano nel mondo. Io domandai un giorno al P. P., maestro del nostro Enrico, come si regolavano per avere i libri, la cui introduzione nello stato era assolutamente proibita: e mi rispose che li facevano venire diretti a qualche cardinale loro amico; e siccome i pacchi diretti ad un cardinale non pagano nulla nè per il trasporto postale, nè per il dazio, e non sono soggetti ad essere visitati; così essi (i Gesuiti) hanno i libri proibiti a miglior mercato degli altri non proibiti.
Oltre la biblioteca, hanno un prezioso museo, composto per lo più di oggetti mandati dai missionari gesuiti. A proposito di questo museo mi sovviene che un giorno un pover'uomo venne a confessarsi da me e mi disse di avere rubate delle cose al detto museo, ma nel tempo che il Collegio Romano era in mano de' preti; e di avere rubate altre cose nella guardaroba del principe Borghese. Come era giusto, lo obbligai alla possibile restituzione: ma egli era ridotto ad estrema miseria, era vecchio e malato. Aveva alcuni oggetti ancora di qualche valore appartenenti ai due derubati, e me li consegnò pregandomi di farne la restituzione, e domandare l'assoluzione per il resto che più non aveva, e che gli era impossibile di restituire nell'equivalente. Andai dal principe Borghese, raccontai il fatto, e la miseria dell'incognito restitutore; ed il principe prese gli oggetti, mi diede una elemosina che superava il prezzo di essi, acciò la rimettessi al convertito ladro ridotto in quello stato compassionevole, e mandò il perdono per tutti gli altri oggetti non restituiti. Andai dal P. Rettore del Collegio Romano; ma egli prese gli oggetti, e non volle condonar nulla per le altre cose non restituite: inguisachè se la giustizia di Dio si misurasse dalla carità de' Gesuiti, quell'anima sarebbe andata dannata per la loro avarizia.
Vai ad inizio pagina.
« Nota precedente | Lettera | Nota successiva »