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Nota 3. alla lettera ottava di Roma Papale 1882
Il Concilio di Trento nella sessione quarta vieta sotto pene di diritto e di arbitrio: juris et arbitrii poenis: di usare i passi della S. Scrittura, in scurrilità, in cose favolose, e vane; in adulazioni, maldicenze, superstizioni empie, incantesimi, divinazioni, sorti, satire ec. Questo decreto, che non si è mai dovuto fare in alcuna Chiesa protestante, dimostra che nella Chiesa romana esisteva questo empio abuso: ma esso non è stato mai riformato, sebbene il Concilio di Trento lo avesse condannato per la forma. Diciamo per la forma; perchè in primo luogo le pene di diritto minacciate dal Concilio di Trento non esistono; non essendovi nel diritto canonico niuna pena per tale delitto: le pene di arbitrio non sono mai state applicate; ed io sfido tutti i teologi romani a citarmi un solo fatto di chi sia stato gastigato per avere scherzato co' passi della Bibbia.
I preti ed i frati alquanto dotti, in Roma, si fanno un pregio nelle loro conversazioni arcimondane di ornare sempre i loro discorsi con passi della Bibbia: ciò mostra il loro spirito, e cotali empietà sono accolte con risa sgangherate dai preti e frati che ascoltano, e sono spesso ricambiate. Esiste un libro, alquanto raro invero, chiamato nungoe lambertinianoe, ed è una raccolta di facezie, quasi tutte tratte dalla Scrittura, che si attribuiscono a Papa Benedetto XIV. Si dice per esempio, che quel papa rispondesse ad una supplica di certi canonici che chiedevano l'uso della bugia: Filii hominum usquequo gravi corde; ut quid diligitis vanitatem, et quoeritis mendacium? Parole tratte dal salmo quarto. Il cardinal della Somaglia, da me conosciuto, che era uno dei luminari del Sacro Collegio, soleva, citando il salmo 119 (secondo la volgata), dire delle leggi di Roma che di esse si dice la mattina legem pone; a mezzo giorno deficit; e se arrivano al dopo pranzo mirabilia: e questo detto è ripetuto continuamente da' preti, prelati e cardinali, come cosa sapientissima. Quando, dopo un lauto desinare, i preti ed i frati si dànno a strabocchevole allegria, citano il passo dei proverbi vinum cor hominis loetificat. Quando si fanno satire, e si fanno parlare Pasquino e Marforio; se le satire sono fatte da preti si vede subito, perchè sono composte di parole scritturali. Quando s'impose la gabella sulla carta bollata, e la regìa sui tabacchi, Pasquino diceva al papa: "Contra folium quod vento rapitur ostendis potentiam tuam, et stipulam siccam persequeris, e si trovò da tutti spiritosissima. Quando si celebra il conclave, si fanno delle satire chiamate il setaccio, perchè sono passati in rassegna tutti i cardinali, ed a ciascuno di essi è applicato in senso di satira un passo della Bibbia. Insomma l'abuso della Bibbia è così innestato nel clero romano, che è più bravo e più lepido, chi ne' suoi discorsi può cucire più passi di Bibbia, sempre a sproposito.
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