Roma Papale, descritta in una serie di lettere con note, da Luigi De Sanctis (1882)

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Lettera sesta

La Discussione

Enrico ad Eugenio

Roma, Febbraio 1847.

Mio caro Eugenio,

È pur troppo vero che prima di promettere una cosa bisogna pensarci molto bene: io ti ho promesso di raccontarti fedelmente tutta la discussione che avrei avuta co' miei amici; ed ora son quasi pentito della mia promessa, e desidererei non averla fatta. E sai tu il perchè? Temo che tu, sentendo gli argomenti del Valdese, non ti abbia a confermare ne' tuoi errori protestanti. Ma io mi picco di essere galantuomo, e quindi tengo fedelmente la mia promessa. Solo ti prego a non volermi giudicare precipitosamente. Comprendi bene che non posso in una lettera raccontare tutta la discussione; ed avverrà che in una vi potranno essere gli argomenti dei miei avversarii, in un'altra le mie risposte. Attendi dunque di averle tutte lette, prima di profferire il tuo giudizio.

Siccome non fu fissato il giorno nel quale dovesse cominciare la nostra discussione, io profittai di questa dimenticanza, e per più giorni non mi lasciai vedere dal sig. Manson: pronto alla circostanza di dare una scusa plausibile del non essere io andato.

Per parlarti con tutta sincerità, il mio ritardo aveva due motivi plausibili: il primo era per prepararmi alla discussione studiando; il secondo, perchè sperava che nascesse qualche occasione per poter discutere da solo a solo col Sig. Manson, senza la incomoda presenza del Valdese, che, a dirti il vero, mi dava non poca soggezione. Se ciò fosse accaduto, io era certo della vittoria: il Sig. Manson sarebbe divenuto cattolico, e così io sarei uscito con onore da questo affare. Notte e giorno pensava al modo di realizzare un tal progetto.

Mentre era in tali pensieri, la padrona della casa, ove io era a dozzina, venne nella mia camera, e con tutta gentilezza mi disse che non poteva più ritenermi, e che aveva assoluto bisogno della mia camera. Per quanto facessi onde sapere il perchè avessi meritato di essere scacciato dalla sua casa, non mi riuscì saper nulla; solo chiaramente conobbi che essa obbediva con dispiacere ad un ordine misterioso. Mi venne in mente che il di lei confessore, che è un Padre Gesuita, avesse dato un tale ordine; ma non ne ho nessuna prova. Andai allora in un convento, presi una camera, e vi trasportai immediatamente le mie robe (Nota 1 - Camere di affitto ne' conventi). I miei amici, non vedendomi, andarono a cercarmi; ma la padrona di casa, la quale sapeva dove io era andato ad alloggiare, disse loro di non sapere il mio indirizzo.

Anche nella scuola era avvenuto un cambiamento a mio riguardo. Il professore non mi guardava più come prima con occhio benevolo; anzi di tanto in tanto lanciava sarcasmi contro i Cattolici amici degli eretici, e metteva in ridicolo coloro che, senza aver compiuto il corso teologico e senza averne avuta missione, pretendevano discutere con essi. Allora lanciava sopra di me uno sguardo assai significante, che non isfuggiva ai miei compagni.

Tutte queste cose mentre da un lato m'irritavano, dall'altro mi affliggevano, e mi determinavano a non volere più imbarazzarmi nella discussione. Ringraziava Dio di avere cambiata abitazione; perchè così forse i miei amici non mi avrebbero più cercato, ed io ne sarei uscito libero.

Il convento nel quale io era andato ad abitare non chiudeva la porta che tardi. Una sera, mentre era nella mia camera a studiare, sento picchiare alla porta: apro, e vedo i miei tre amici protestanti: "Povero Signor Abate, mi disse il Valdese stringendomi la mano con grande affezione; voi siete sorvegliato: i vostri buoni Padri Gesuiti non vogliono che voi entriate in discussione con me: ma non temete; io non vi comprometterò vostro malgrado. Siamo venuti a proporvi due partiti, e voi sceglierete quello che meglio vi aggrada: il primo partito è di seguitare, o a dir meglio incominciare, le nostre discussioni; il secondo è di disimpegnarvi dalla vostra parola, quando la vostra coscienza vi permettesse di lasciare nell'errore tre anime che voi credete perdute. Se accettate questo partito, vi prego riflettere che non potete impedirci di pensare che voi temete la discussione, e che i vostri maestri che ve la impediscono han più paura di voi."

Io accettai di discutere: ed allora si stabilì che, per evitare per quanto era possibile lo spionaggio, essa avrebbe luogo qualche volta nella mia camera, qualche altra volta in qualche altro luogo.

Stabilite così le cose, il Valdese voleva che s'incominciasse a discutere sulla dottrina della giustificazione, ch'egli diceva essere la dottrina fondamentale del cristianesimo (Nota 2 - Dottrina della giustificazione essenziale al Cristianesimo). Per dirti il vero, io non sono molto forte in quella dottrina, anzi fino ad ora mi sembra la dottrina la più oscura, e la più imbrogliata della nostra teologia (Nota 3 - È la dottrina la più difficile nel sistema romano); e non amava molto che la nostra discussione incominciasse da quella. Proposi dunque che s'incominciasse dalla supremazia del Papa. "Ammesso il primato, diceva io, bisogna per legittima conseguenza ammettere tutta la dottrina cattolica insegnata da colui che è il successore di S. Pietro ed il capo infallibile della Chiesa, stabilito da Gesù Cristo stesso; ed escluso una volta il primato, necessariamente tutto il Cattolicismo deve cadere." Si fecero delle difficoltà; ma poi la mia proposizione fu accettata.

Allora il Signor Pasquali levandosi da sedere disse, che prima d'incominciare a discutere si doveva invocare l'assistenza dello Spirito Santo, e m'invitò a fare una preghiera. Io mi scusai con dire che noi non eravamo abituati alle preghiere estemporanee. Si rivolse al Signor Manson, il quale disse che non aveva indosso il libro delle preghiere. "Il libro di preghiera del Cristiano è un cuore rigenerato," disse il Valdese; e, levati gli occhi al cielo, fece una preghiera così fervente, così commovente che mi trasse le lacrime dagli occhi. Questa preghiera mi sbalordì. "Come mai, diceva meco stesso, un eretico può pregare con tanta fede, con tanto fervore? Come può con tanta fiducia invocare Gesù Cristo?" Io che non aveva conosciuta la dottrina de' Protestanti che per quello che ne aveva sentito dire da' miei maestri, nelle lezioni e nelle prediche, e per quello che ne aveva letto nei nostri libri (Nota 4 - Il P. Perrone calunniatore de' Protestanti), mi trovava in una posizione assai diversa da quella che mi era immaginata, trovandomi faccia a faccia con questo Valdese.

Finita la preghiera, il Signor Pasquali ci fece osservare che la verità non potendo essere che una, che, trattandosi di una questione religiosa, non poteva trovarsi che nella Bibbia; ma che siccome i diversi sistemi religiosi interpretavano le dottrine della Bibbia differentemente; così egli credeva che, per bene intendersi ed accelerare la soluzione della questione sul primato del Papa, fosse bene che ciascuno esponesse la sua credenza su quel punto, acciò, confrontando queste diverse credenze con la Bibbia, si potesse venire ad una conclusione certa.

Piacque a tutti una tale proposta, ed io incominciai ad esporre in poche parole la dottrina cattolica sul primato del Papa, riserbandomi di dimostrarla a suo tempo. Dissi dunque, che Gesù Cristo aveva dichiarato S. Pietro capo e principe degli Apostoli; che lo aveva costituito suo Vicario, ed in questa qualità lo aveva lasciato per capo visibile della sua Chiesa; dissi che la dignità di S. Pietro non era cosa personale, ma da trasmettersi ai suoi successori: e siccome il romano Pontefice è il successore di S. Pietro, così egli ha le medesime prerogative che Gesù Cristo ha date a S. Pietro, e che questi ha trasmesse ai suoi successori, cioè il primato e la infallibilità. "Questa è la dottrina della Chiesa cattolica, che sono pronto a provare con la Bibbia."

"Io convengo, disse il Signor Manson, in quanto al primato di S. Pietro: ammetto nel Vescovo di Roma la successione apostolica, e lo riconoscerei anche per capo della Chiesa, qualora però la sua autorità non fosse arbitraria, ma regolata dai canoni ecclesiastici, stabiliti dai concili. La sua infallibilità però non posso ammetterla; perchè i monumenti dell'antichità ecclesiastica dimostrano che molti Papi hanno errato" (Nota 5 - Papi eretici).

"In quanto a me, disse il Signor Sweeteman, non ammetto tante cose. Nelle cose di religione non conosco altra autorità che quella della Bibbia e quella della Chiesa, la quale non credo possa essere rappresentata da un solo uomo. Il Vescovo di Roma è un Vescovo come tutti gli altri: egli può essere considerato come il Primate d'Italia; ma non lo crederò mai il capo, ossia il monarca della Chiesa. Se si trattasse soltanto di un primato di onore, non troverei grandi difficoltà ad accordarglielo; ma un primato di autorità giammai. L'autorità della Chiesa la riconosco nell'episcopato, e non in un solo uomo."

Il Valdese trasse allora di tasca una Bibbia e, posandola sul tavolo, disse: "Ora ciascuno di voi ha esposto ciò che crede intorno all'autorità del Papa, io dovrei esporre la mia dottrina. Ma io non posso esporne alcuna, perchè nelle cose religiose la Bibbia è la mia UNICA autorità. I sistemi religiosi sono per lo più fallaci; la sola Bibbia non inganna mai: atteniamoci dunque puramente e semplicemente ai suoi insegnamenti. E credo che, con questo metodo, se discutiamo in buona fede, potremo facilmente trovarci d'accordo; perciocchè tutti e quattro confessiamo che ogni dottrina religiosa deve avere il suo fondamento nella Bibbia."

Dopo cotale preambolo, egli disse che trovava nella Bibbia quattro cose intorno alla questione attuale; cioè: Primo, che Gesù Cristo ha stabilito fra gli Apostoli una perfetta uguaglianza, acciocchè non vi fosse fra loro uno maggiore di un altro. Secondo, che, di più, Gesù Cristo ha assolutamente e precettivamente esclusa la idea di un primato fra loro. Terzo, che gli Apostoli non hanno riconosciuto in S. Pietro che un collega, e giammai un superiore, nè il capo della Chiesa. Quarto, che Gesù Cristo è l'unico capo della Chiesa, ad esclusione di qualunque uomo. "Miei cari amici, soggiunse; questa è la dottrina che io trovo nella Bibbia intorno al capo della Chiesa: potrei ingannarmi; ma permettetemi che vi esponga semplicemente i passi della Bibbia che dimostrano le dottrine che vi ho accennate, e poi vi prego indicarmi se, e dove, io prendo abbaglio."

Detto ciò, aprì la sua Bibbia, e lesse: "E Gesù, accostatosi, parlò loro (cioè agli Apostoli), dicendo: Ogni podestà mi è data in cielo, e in terra. Andate adunque, ed ammaestrate tutti popoli, battezzandoli nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo; insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandate. Or ecco, io son con voi in ogni tempo, infino alla fin del mondo" (Matt. XXVIII, 18-20). Fece osservare su questo passo, che Gesù Cristo dà a tutti gli Apostoli una podestà eguale; che non confida il suo potere a nessuno; che non lascia nessuno di essi in sua vece, ma che anzi promette di essere Egli stesso sempre con loro. Lesse il vers. 15 del capo XVI di S. Marco. Lesse i versetti 21, 22, 23, del capo XX di S. Giovanni, per provare che Gesù Cristo aveva dato eguale potere a tutti gli Apostoli, e ne conchiudeva ch'Egli li aveva costituiti eguali, e non aveva stabilito uno per essere nè loro principe, nè loro capo.

Dal Vangelo passò agli Atti degli Apostoli, e lesse il vers. 14 del capo VIII, ove è detto che gli Apostoli mandarono Pietro e Giovanni in Samaria: e da quel passo deduceva che S. Pietro non era superiore, egli avrebbe mandato, o sarebbe andato volontariamente, e non sarebbe stato mandato. Lesse quindi i vers. 1 del capo V della prima lettera di S. Pietro, ove quell'Apostolo si chiama un anziano come gli altri, nè più nè meno (Nota 6 - Falsificazione di M. Martini).

Qui io lo interruppi, facendogli osservare che S. Pietro parlava in quel modo per umiltà. "È egli lecito, mi rispose, mentire sotto pretesto di umiltà? È egli lecito ad un Apostolo insegnare una falsa dottrina per essere umile? Ma S. Pietro, se fosse stato il principe degli Apostoli, avrebbe mentito dicendosi un semplice anziano; avrebbe, per comparire umile, insegnata la dottrina presbiteriana, che la vostra Chiesa ha dichiarato essere dottrina eretica."

Credei bene tacere per allora, riserbandomi di rispondere a suo tempo. Ed egli riprese l'argomento, e, leggendo nel capo XII della seconda lettera ai Corinti, citava quel passo ove S. Paolo dice non essere da nulla meno de' sommi Apostoli il passo del capo secondo ai Galati ove S. Paolo dice non aver ricevuto nulla nè da Pietro nè da Giacomo, salvochè la mano di associazione: anzi per quello che riguarda S. Pietro, S. Paolo si gloria di avergli pubblicamente resistito in faccia e di averlo pubblicamente ripreso. Dalle quali cose il Valdese pretendeva dimostrare la assoluta eguaglianza che esisteva fra tutti gli Apostoli, secondo la istituzione del Signore.

Per la seconda delle sue proposizioni, che cioè Gesù Cristo avesse assolutamente vietato ogni primato fra gli Apostoli, e nella Chiesa, egli pretendeva dimostrarla co' seguenti passi, cioè (Matt. XVIII, 15-17): "Se il tuo fratello ha peccato contro a te, va', e riprendilo fra te e lui solo; se egli ti ascolta, tu hai guadagnato il tuo fratello. Ma se non ti ascolta, prendi teco ancora uno, o due... e, s'egli disdegna di ascoltarli, dillo alla Chiesa." "Questo discorso, egli diceva, era da Gesù Cristo indirizzato a S. Pietro: Gesù Cristo dunque aveva talmente sottoposto lo stesso S. Pietro alla Chiesa, che anche, per una offesa personale, doveva ricorrere ad essa, e stare al suo giudizio: non lo aveva dunque costituito capo di essa. Quello che qui è detto a S. Pietro è detto a tutti: dunque Gesù Cristo non ha voluto che nella Chiesa vi fosse un primato."

Ma quello che poi, secondo lui, escludeva affatto un primato fra gli Apostoli erano i passi seguenti: "E Gesù, chiamatili a sè (i suoi discepoli), disse: Voi sapete che i principi delle genti le signoreggiano, e che i grandi usano podestà sopra esse. Ma non sarà così fra voi; anzi chiunque fra voi vorrà divenir grande sia vostro ministro; e chiunque fra voi vorrà divenir grande sia vostro ministro; e chiunque fra voi vorrà esser primo sia vostro servitore" (Matt. XX, 25-27). "Vorrei che i Papi che si chiamano re dei re, ed i cardinali che si chiamano successori degli Apostoli e principi eminentissimi della Chiesa, considerassero quest'ordine di Gesù Cristo, che essi chiamano loro maestro!" (Nota 7 - I cardinali).

"Il passo perentorio, continuò, per tacerne altri tanti altri, è il seguente: "Ma voi, non siate chiamati, Maestro; perciocchè un solo è il vostro dottore, cioè, Cristo; e voi tutti siete fratelli. E non chiamate alcuno sopra la terra, vostro padre; perciocchè un solo è vostro padre, cioè, quel ch'è ne' cieli... E il maggior di voi sia vostro ministro" (Matt. XXIII, 8-11). A me pare che per ammettere fra gli Apostoli uno che fosse maggiore degli altri, che fosse il padre de' fedeli, il dottore universale, sia necessario dire che Gesù Cristo ha mentito; lo che è una bestemmia."

"Eppure, interruppe il signor Manson, tutta l'antichità ha riconosciuto un primato in S. Pietro." "Cotesta antichità che voi adducete, riprese il Valdese, è anteriore o posteriore al Vangelo?" "Oh! sicuramente è posteriore," rispose il signor Manson. "Ebbene allora, diceva il Pasquali, anche in ragione di antichità, i miei argomenti sono migliori dei vostri; i miei sono più antichi, ed i vostri sono di alcuni secoli più moderni dei miei."

La terza delle sue osservazioni essendo negativa, disse che bastava a dimostrarla l'argomento negativo; che cioè non può citarsi un solo passo della Bibbia per provare che gli Apostoli avessero riconosciuto S. Pietro per loro superiore. "Altronde, egli disse, se la dottrina del primato fosse stata un domma necessario a salvezza, come insegna la Chiesa romana, gli Apostoli lo avrebbero insegnato ne' loro scritti che hanno lasciato per la istruzione delle Chiese. Ma negli scritti apostolici non vi è neppure una parola che faccia allusione al primato di S. Pietro; anzi esso è evidentemente escluso. S. Paolo parla di tutti i gradi del ministero stabilito da Gesù Cristo nella sua Chiesa (I Cor. XII, 28; Efes. IV, 11.), e non parla punto nè del primato di Pietro, nè di un Papa. Se un teologo romano, parlando ex professo della gerarchia ecclesiastica, dimenticasse parlare del Papa, farebbe come se un astronomo, parlando del sistema solare, dimenticasse di parlare del sole, anzi neppure lo nominasse."

"Per la quarta delle mie proposizioni, disse, non avrei bisogno citare alcun passo della Bibbia per dimostrarla. Chi conosce quel libro divino sa, che la dottrina di Gesù Cristo capo UNICO della Chiesa, è insegnata in esso frequentemente ed evidentemente. Ciononostante citerò alcuni passi:" e lesse nel capo I della lettera agli Efesi i vers. 22, 23; i vers. 14-16 del capo IV; ed il vers. 18 del capo I ai Colossesi (Nota 8 - Gesù Cristo capo della Chiesa); e sarebbe andato innanzi citando altri passi, se io non lo avessi interrotto.

"Perdonate, signor Pasquali; ma voi perseguitate un'ombra. Chi di noi niega che Gesù Cristo sia il capo supremo della sua Chiesa? Tutti i passi da voi citati, e quelli che potreste ancora citare a questo proposito, non escludono punto la dottrina cattolica del primato del Papa. Certo Gesù Cristo è il capo della Chiesa; ma egli è glorioso nel cielo alla destra del Padre, ed il Papa sostiene le sue veci in terra: Gesù è il capo principale ed invisibile, ed il Papa è il capo visibile; Gesù è il capo celeste, il Papa il capo terrestre: ad una Chiesa visibile è necessario un capo visibile."

"Il signor Abate, rispose, non ha riflettuto che la Chiesa è una; che essa è il corpo di Gesù Cristo; corpo ben composto, come dice la Bibbia: ora se la Chiesa è un sol corpo, come può avere due teste, una visibile, l'altra invisibile; una primaria, l'altra secondaria? Ma ricordiamoci che noi non dobbiamo disputare nel modo che si fa nelle scuole; bensì cercare la verità nella Bibbia. Perciò vi prego citarmi un sol passo ove sia detto che il Papa è il capo visibile della Chiesa."

Il signor Manson prese allora la parola e disse: "Per me confesso che non ho mai trovato nella Bibbia un passo che stabilisca espressamente ed in termini questa distinzione: però la sacra antichità ammetteva il primato del Papa. S. Ireneo per esempio...." "Lasciate il vostro S. Ireneo, interruppe il Valdese, e parlatemi della Bibbia. Ma quand'anche fosse chiaro come la luce del sole (lo che non è) che la Chiesa primitiva ammettesse una tale dottrina, io vi risponderei che la vera Chiesa primitiva è la Chiesa de' tempi apostolici; ed i monumenti di essa sono nelle lettere degli Apostoli. Quando con la vostra pretesa sacra antichità giungeste a dimostrarmi una dottrina in opposizione a quello che hanno scritto gli Apostoli, mi avreste dimostrato un errore antico, ma sempre un errore."

Sebbene, mio caro Eugenio, io avessi tutti i motivi per chiamarmi malcontento de' Padri Gesuiti; ciononostante non poteva fare a meno in questo momento di rammentarmi le parole del mio professore che mi parvero essersi verificate sopra di me; che cioè quando un Protestante si attacca alla Bibbia, non vuole più intendere altra ragione. Io veramente, attaccato all'improvviso, aveva de' passi biblici per provare il primato di S. Pietro e del Papa, ma non ne aveva pronti per distruggere quelli citati dal Valdese; perciò era ben contento di veder entrare in lizza il signor Manson. Ma questi si tacque alla risposta del Valdese, il quale continuò così:

"Niuna cosa è nuova sotto il sole: fino da' tempi di S. Paolo il mistero d'iniquità incominciava ad operare; e mi sembra che nel capo quinto della lettera agli Efesi S. Paolo abbia preveduta questa distinzione che i teologi romani avrebbero inventata di capo visibile e capo invisibile, capo principale e capo ministeriale, capo terrestre e capo celeste; e che la abbia voluta confutare quando ha detto: "Il marito è capo della donna, siccome Cristo è capo della Chiesa." Cosa ve ne sembra? Continuò; si potrebbe di una moglie onesta dire che essa riconosce il suo marito come suo capo principale, ma che ne ritiene un altro come capo secondario, ovvero come vicario? Non vuole forse dire S. Paolo che siccome il marito è il capo unico della donna, così Gesù Cristo è il capo UNICO della Chiesa? Ma non basta: sentite cosa è scritto nel capo III della prima ai Corinti vers. 11. "Niuno può porre altro fondamento che quello ch'è stato posto, il quale è Gesù Cristo." In un edificio, unico è il fondamento.

Ma, per togliere ogni appiglio alle distinzioni scolastiche sul capo della Chiesa, S. Paolo, o meglio lo Spirito Santo per bocca sua, ci dice cosa era S. Pietro in cotesto edificio: ecco cosa dice nel vers. 9 del capo secondo a' Galati: esso era una colonna, non un fondamento secondario o subordinato; ma una colonna nè più nè meno di quello che lo erano Iacopo e Giovanni, e gli altri Apostoli.

Del resto, miei cari amici, io non voglio ostinarmi, non voglio fare una controversia: esaminiamo la Parola di Dio, e seguiamo la dottrina che essa c'insegna, che è la sola infallibile."

Siccome io voleva studiar meglio la questione prima di azzardarmi con un tal uomo che conosceva così bene le Sacre Scritture, così dissi che la sera era molto avanzata e che il convento si chiudeva: si prese l'appuntamento per il giorno dopo, ed essi se ne andarono.

Appena partiti, io sentiva bisogno di consiglio; non poteva più domandarlo al mio professore senza espormi ai più acerbi rimproveri, e forse peggio: pensai dunque domandarlo al Lettore di teologia (Nota 9 - Maestri ne' conventi) del convento ove io dimorava. Andai nella sua camera, esposi il caso dal principio; ed egli, dopo aver ben bene riflettuto, mi disse: "Il rimedio per trarvi dall'imbarazzo è facilissimo, ed è il solo che dovete seguire: domani mattina andate al palazzo dell'inquisizione, e denunciate il Valdese, lasciate poi operare il santo tribunale; esso vi toglierà d'ogni imbarazzo."

Io inorridii a tale consiglio: ma il P. Lettore sosteneva che il Valdese, essendo italiano, era soggetto a tutte le leggi del S. Uffizio, ed io era obbligato in coscienza a denunciarlo.

"Egli non è un semplice eretico, ma un eretico dommatizzante, e voi dovete assolutamente denunciarlo, altrimenti voi stesso sarete denunciato come fautore d'eretici, e sarete anche sospetto di eresia" (Nota 10 - Dommatizzanti e sospetti di eresia).

Passai la notte senza poter mai prender sonno, tanta era la mia agitazione: avrei sofferto qualunque cosa piuttosto che fare una cattiva azione; e cattiva azione mi pareva quella di denunciare il signor Pasquali, e farlo gettare nelle carceri dell'inquisizione. Dall'altro lato diceva a me stesso: "Ma se è vero che io sia obbligato in coscienza ad accusarlo; se, non accusandolo, io commetto un peccato mortale, non dovrò io accusarlo a qualunque costo?"

La mattina tornai di nuovo dal P. Lettore per chiarire meglio la cosa. "Figlio mio, questi mi disse, io non vi farò danno; ma ve lo potrebbe ben fare qualcun altro denunciandovi. Voi siete forestiere, non conoscete Roma, e vi siete messo a parlare di religione con Protestanti, come avreste fatto nel vostro paese: qui la cosa è assai diversa."

"Ma, diceva io, non mi pare aver commesso un delitto degno dell'inquisizione, per aver cercato di convertire tre Protestanti alla nostra religione."

"Caro amico, riprese, voi giudicate questa cosa sotto il vostro punto di vista, e come se foste nel vostro paese. Colà, ove la santa religione cattolica non domina, la Chiesa non può spiegare tutta la sua energia: ma qui in Roma, sebbene per prudenza debba adattarsi alquanto ai tempi, ciononostante può eseguire le sue leggi. E sapete nel caso vostro quali sono le leggi? Eccole. La nostra santa Chiesa ha il diritto di mandare e mantenere i suoi missionari e di far proseliti da per tutto; perchè essa sola è nella verità, e perciò ad essa sola appartiene la libertà di manifestare e di propagare le sue dottrine, perchè sono le sole vere: ma se un eretico vuol spargere le dottrine dell'eresia, la santa Chiesa ha il diritto di gastigarlo, ed i Cattolici hanno l'obbligo di denunciarlo; specialmente se l'eretico ardisca dommatizzare ove esiste il tribunale della santa inquisizione. Il santo tribunale però agisce con tutta prudenza, e non è così crudele come si dice: per esempio, se l'eretico dommatizzante è inglese o francese, allora si fa esiliare dalla polizia sotto un altro pretesto; se poi appartiene ad una piccola nazione che non faccia paura, allora si usa verso di lui il salutare rigore delle leggi. Sicchè, credete a me, il vostro caso è più serio che voi non immaginate, e specialmente in questi tempi ne' quali Pio IX ha ordinato al santo tribunale di agire con tutto il rigore. Voi non lo sapete; ma io ve lo assicuro: alla morte di Gregorio XVI, le carceri del santo Uffizio erano quasi vuote (Nota 11 - Il S. Uffizio ai tempi di papa Gregorio), ma ora non lo sono più."

"Ma Padre mio, soggiunsi, il canonico T., segretario del Vicariato, mi ha dato il permesso di disputare con cotesti Protestanti...." "Il canonico T., interruppe, è un buon uomo; egli non conosce le leggi dell'inquisizione: del resto, fate come volete; ma ricordatevi che io vi ho avvertito."

Caro Eugenio, io non posso credere che sia vero tutto quello che mi ha detto questo Padre: credo che lo abbia detto per ispaventarmi. No, non è possibile che la santa Chiesa cattolica che è madre amorosa abbia sentimenti così crudeli. Però io mi avvidi che ogni volta che andava a domandar consigli ne riceveva dispiaceri: quindi mi determinai di continuare la discussione senza più domandar consiglio a nessuno; così andai all'appuntamento.
Nella prossima lettera ti dirò il resto. Addio: ama il tuo

Enrico.

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Riepilogo delle note alla Lettera sesta
  1. Nota I - Camere di affitto ne' conventi;
  2. Nota II - Dottrina della giustificazione essenziale al Cristianesimo;
  3. Nota III - È la dottrina la più difficile nel sistema romano;
  4. Nota IV - Il P. Perrone calunniatore de' Protestanti;
  5. Nota V - Papi eretici;
  6. Nota VI - Falsificazione di M. Martini;
  7. Nota VII - I cardinali;
  8. Nota VIII - Gesù Cristo capo della Chiesa;
  9. Nota IX - Maestri ne' conventi;
  10. Nota X - Dommatizzanti e sospetti di eresia;
  11. Nota XI - Il S. Uffizio ai tempi di papa Gregorio.

 

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Pagina completa; prima pubblicazione: 10 febbraio 2002;
ultimo aggiornamento: 2007;
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