Roma Papale, descritta in una serie di lettere con note, da Luigi De Sanctis (1882)

Home > Per non dimenticare > Roma Papale > Lettera quarta

Lettera quarta

I Monumenti

Enrico ad Eugenio

Roma, Gennaio 1847.

Mi è rincresciuto trovare nella tua ultima lettera un sospetto sulla mia condotta. Tu dubiti che la ragione per cui ho tardato un mese a scriverti, nonostante la mia promessa, sia stata quella di non voler confessare la mia disfatta. No, caro amico, io ancora non sono mai uscito perdente dalla disputa, e spero anzi uscirne vittorioso. Non ti ho scritto appunto, perchè non voleva noiarti scrivendoti discussioni: voleva aspettare la decisiva vittoria, che non può tardare, e quindi ti avrei scritto tutto. Ma poichè tu brami sapere tutti i dettagli, sono pronto ad accontentarti. Io mi esterno con te come con un amico del cuore quale tu sei: non ti nascondo nulla, neppure i pensieri del mio animo; sicuro che tu non vorrai compromettermi.

Ecco dunque cosa accadde nella visita dei monumenti.
Andai il giorno convenuto dal signor Manson, e trovai gli altri due. Prendemmo una carrozza, e, secondo il programma del mio maestro, condussi i miei amici alla chiesa di S. Pietro in vinculis (Nota 1 - Chiesa di S. Pietro in vinculis). Essa è posta sulla punta meridionale del monte Esquilino. Un bellissimo portico a cinque arcate, chiuse con eleganti cancelli di ferro, apre l’ingresso alla magnifica basilica, che è di una architettura gaia insieme e maestosa! Non ti dirò nulla del bellissimo quadro di S. Agostino opera del Guercino, nè dell’altro rappresentante la liberazione di S. Pietro dal carcere, opera del Domenichino. Il capo d’opera di Michelangiolo, cioè la statua di Mosè, destinata per il mausoleo di Giulio II, ecclissa tutto in quella chiesa.

Il sig. Manson, il sig. Sweeteman, ed io eravamo incantati davanti a quella statua che dimostra fin dove possa giungere il genio dell’arte cristiana. Il Valdese però sorrideva della nostra ammirazione; quindi, percuotendomi leggermente sulla spalla, “Signor abate, mi disse, mi spieghi un poco una cosa che io non comprendo. La vostra Chiesa dice che i templi sono luoghi santi, luoghi consacrati al Signore, case di orazione; ed applica ai suoi templi tutto ciò che la Bibbia dice del tempio di Gerusalemme: come dunque può essa trasformare i suoi templi in studii di belle arti o musei, ed esporli così alla profanazione di noi protestanti, che entriamo in essi non per pregare, ma per vedere gli oggetti d’arte?”

Risposi che le immagini erano nelle chiese per eccitare la devozione nel popolo, e che più erano belle più rispondevano al loro scopo. “Luoghi comuni, interruppe: non anticipiamo sulla questione delle immagini, essa verrà a suo tempo. Ma, sebbene vi accordassi quello che voi dite, questo monumento certo non è posto qui per eccitare la devozione, ma per onorare un cadavere di un Papa.” “Alla casa del Signore, soggiunsi, si conviene la magnificenza.” “Sta scritto però, rispose egli: La santità è bella nella tua casa in perpetuo” (Salm. XCIII, 5).

Passammo nella sacrestia ove ci aspettava il P. Abate (Nota 2 - Abate di detta chiesa), il quale ci accolse con molti complimenti. Nella sacrestia vi è un bell’altare in marmi, e sopra esso un armadietto fatto di marmi preziosi, e di bellissimo lavoro. Il P. Abate fece accendere quattro candele, si mise la cotta e la stola, aprì l’armadietto, e ne trasse una bell’urna di cristallo di roccia ove si conservano le catene di S. Pietro. Il P. Abate ed io ci inginocchiammo innanzi alle sante catene, e pregammo in silenzio; quindi baciammo quelle reliquie, ed il P. Abate richiuse l’armadio.

Dopo ciò, spogliati gli abiti sacri, raccontò che nel quinto secolo Giovenale Patriarca di Gerusalemme donò alla imperatrice Eudossia la catena con la quale era stato inceppato san Pietro in Gerusalemme per ordine dell’empio Erode: Eudossia ne fece un dono al Papa S. Leone I, il quale avvicinò quella catena con l’altra con la quale S.Pietro era stato legato in Roma per ordine di Nerone. Le due sante catene, toccandosi, si unirono e divennero una sola catena che è quella che colà si conserva. Allora la imperatrice fece rifabbricare questa chiesa; dico rifabbricare, perchè essa era già una chiesa fabbricata da S. Pudente, e consacrata da S. Pietro.

Da qui il titolo di S. Pietro in vinculis.

“È poi ben certa questa storia?” domandò il Valdese.

“Per dubitare della verità di essa, rispose il P. Abate con gravità, bisognerebbe dubitare della stessa evidenza: se vogliono prendersi la pena di salire fino al mio appartamento, farò loro vedere i documenti che provano la verità di essa.”

Salimmo allora all’appartamento del P. Abate, il quale trasse da’ suoi scaffali il primo volume delle opere del P. Tillemont, e alla pagina 172 lesse queste parole: “ - La tradizione dice che S. Pietro convertì in Roma il senatore Pudente che dimorò nella sua casa, e consacrò in essa la prima chiesa di Roma, divenuta poscia S. Pietro in vinculis.

Io era fuori di me per la consolazione, ed ammirava la prudenza del mio maestro nell’avere così bene diretta la mia visita ai monumenti. Il signor Manson esclamò: “Ah! bisogna venire a Roma per istruirsi nelle antichità ecclesiastiche!”

Il Valdese, con la sua solita freddezza, disse: “Ma ella crede, P. Abate, che realmente Tillemont prestasse fede a quel fatto?”

“Io non so come se ne possa dubitare, riprese il P. Abate: Tillemont si fonda sulla tradizione.”

“Ebbene, disse il Valdese: mi favorisca il secondo tomo del Tillemont.” Avutolo, cercò alla pagina 616, e fece vedere che Tillemont appoggiava una cotale tradizione sul libro apocrifo del Pastore attribuito ad Erma (Nota 3 - Ermete e il libro del Pastore); e poscia dimostrò che tutti gli avvenimenti raccontati in quel libro avvennero ai tempi di Antonino, cioè verso la metà del secolo secondo: dal che si dedurrebe che, se si dovesse prestar fede a cotesta tradizione, S. Pietro sarebbe stato ospite di Pudente alla metà del secondo secolo, cioè un secolo circa dopo la sua morte.

Il P. Abate ed io restammo annientati da queste osservazioni; ciò nonostante il P. Abate non si perdè di coraggio; e tolto da un armadio un antico martirologio in pergamena con le iniziali in miniatura, lo aprì, e lesse al primo Agosto queste parole in latino: “ - A Roma, la consacrazione della prima chiesa, fabbricata e consacrata da S. Pietro Apostolo. - Ecco un documento assai più antico del Tillemont.”

Il Valdese osservò il martirologio, e dai caratteri e dalle miniature dimostrò che esso era del secolo XIV. “Un documento, disse, di tredici secoli almeno posteriore al fatto che con esso si vuole provare, non prova nulla.”

“Ebbene, rispose il P. Abate, eccovi la testimonianza del cardinal Bona,” e mostrò il libro di quel cardinale sulle liturgie (Nota 4 - Le catene di S. Pietro). “Eccovi la storia di questa chiesa scritta da un nostro canonico.” Il Valdese interruppe: “Tutte queste testimonianze sono più recenti di quella del martirologio. Ma non ci allontaniamo dal Tillemont: ecco la pagina 504 di questo secondo tomo cosa dice: legga legga, P. Abate: - Non si può credere che i Cristiani abbiano avuto chiese, ossia fabbriche espressamente fatte per raunarsi agli esercizi religiosi, che dopo la persecuzione di Severo, verso l’anno 230. - E potrei, soggiunse, citarvi tutti i Padri dei primi secoli per dimostrarvi con le loro testimonianze che i Cristiani fino al terzo secolo non ebbero templi.”

Il P. Abate divenne rosso come una bragia: io sentiva non potermi più moderare; ed acceso di sdegno dissi al Valdese: “E sulla catena avreste forse qualcosa da opporre?”

“Nulla affatto: bisognerebbe esser privo di sensi per non vedere che quella è una catena; ma, per essere ragionevolmente convinti che quella sia la catena di S. Pietro, bisognerebbe ragionarvi un poco sopra. Bisognerebbe sapere, per esempio, perchè delle due catene (Atti XII,6) con le quali era legato S. Pietro in Gerusalemme, se ne sia conservata una sola; e l’altra dove è andata? Bisognerebbe sapere chi avesse conservata quella catena. Forse Erode? forse i Giudei? forse i Cristiani? Ma S. Pietro lasciò le catene in terra nella prigione. Sarebbe bene sapere come nella ruina di Gerusalemme, quando tutto fu distrutto, solo quella catena fosse stata conservata. Riguardo a quella di Roma, bisognerebbe dimostrare che S. Pietro vi fosse stato, lochè è un po’ difficile. Se non è stato in Roma, non potè esservi incatenato. Ma posto anche che vi fosse stato; io domanderei: Chi ha conservata quella catena? Nerone? Ma egli, che sappia, non era così devoto. I Cristiani? Ma chi avrebbe osato andarla a domandare? E se lo avessero osato, l’avrebbero essi avuta? E poi, loro signori sanno bene che in que’ tempi il culto delle reliquie era stimato una idolatria; basta leggere Tertulliano, Origene, Giustino Martire, e gli altri Padri Antichi, per persuadersene. Sicchè, caro signor Abate, andiamo pure a vedere altri monumenti, nei quali potrete essere più fortunato; ma questi non mi persuadono punto.”

Questo primo esperimento mi fece conoscere che io aveva a fare con un uomo che ne sapeva molto più di me: ed allora dava ragione al mio maestro, e cercava la via di trarmi d’impaccio; e desiderava che mi fosse venuto fuori con argomenti biblici, per accusarlo di non essere stato a’ patti e rompere la discussione con qualche onore. A tale effetto, anzichè condurlo al carcere Mamertino, lo condussi alla chiesa detta Domine quo vadis.

Poco lungi dalla città, sulla via Appia, vi è una piccola chiesa fabbricata nel luogo ove nostro Signore apparve a S. Pietro. Ma affinchè tu possa ben conoscere il fatto, ti trascrivo la iscrizione sul marmo che si trova in detta chiesa. - Questa chiesa è intitolata Santa Maria delle piante, e comunemente Domine quo vadis. Delle piante è nominata per l’apparizione di nostro Signore fatta in essa a S. Pietro, quando questo glorioso Apostolo, persuaso, anzi violentato, dai Cristiani ad uscire di prigione e partirsi da Roma, s’incamminò per questa via Appia, e giunto a questo luogo s’incontrò con nostro Signore che s’incamminava verso Roma: alla cui presenza maravigliato gli disse: Domine, quo vadis? (Signore, dove vai?); ed egli rispose: Venio Romam iterum crucifigi (Vengo in Roma per essere crocifisso un’altra volta). Intese subito il mistero S. Pietro, e si ricordò che a lui ancora aveva predetto una tal morte, quando gli diede il governo della sua chiesa; però voltando il passo ritornò a Roma, ed il Signore sparì, e nello sparire lasciò impresse le sue piante in un selce del pavimento della strada, e da qui prese questa chiesa il soprannome delle piante, e dalle parole di San Pietro il nome di Domine quo vadis... 1830.-

Appena arrivati avanti quella chiesa, il Valdese si fermò a leggere la iscrizione che è sopra la porta: “Ferma il passo, o passeggiero, ed entra in questo s. tempio che troverai la pianta e forma di nostro Signore Gesù Cristo quando s’incontrò con S. Pietro che fuggiva dalla prigione. Si raccomanda la elemosina per la cera e l’olio per liberare qualche anima dal purgatorio” (Nota 5 - Rettificazione del testo). Dopo letta quella iscrizione, disse: “Non credo che il signor abate sia più fortunato nella visita di questo secondo monumento.”

Entrammo: sulla parete a destra di chi entra è dipinto il Salvatore che con la sua croce in spalla cammina verso Roma: nella parete sinistra vi è dipinto S. Pietro in atto di fuggire da Roma. Nel mezzo della chiesa vi è una striscia di pavimento in basalto, per figurare l’antica strada, e nel centro una pietra quadrata bianca, sporgente al disopra del pavimento, e su di essa vi è la figura delle piante del Signore, ed all’intorno vi è scolpito il versetto del salmo “Adoreremo nel luogo dove i suoi piedi si posarono.” Il Valdese prese un’aria molto seria, mi lanciò uno sguardo di compassione, e senz’altro uscì dalla chiesa: il signor Sweeteman mi parve scandalezzato anch’esso; il sig. Manson stesso non fu contento, e tutti uscirono della chiesa.

Io non capiva nulla di questo scompiglio. Uscii anch’io, ed il Valdese mi parlò con una serietà che mi fece paura. “Signor Abate, io sono cristiano, e non posso soffrire che sotto aspetto di religione si ponga in ridicolo l’adorabile persona del nostro Signor Gesù Cristo; e che si abusi così della parola di Dio (Nota 6 - Falsificazione biblica) per inculcare l’adorazione di una pietra.” Io voleva giustificare la cosa; ma tutti mi diedero contro e mi tacqui.

Tutto mi andava a male in quel giorno: allora ripresi il programma del mio maestro, ed ordinai al vetturino di condurci a S. Pietro in carcere.

S. Pietro in carcere non è che l’antica prigione Mamertina ridotta a cappella. Si scende per una scala moderna fino alla porta della prigione, sulla quale si legge ancora l’antica iscrizione romana. Entrati nella prima prigione sotterranea, si scende per una piccola scala alla seconda prigione, che è perpendicolarmente sotto la prima. Mentre scendevamo per la piccola scala, feci osservare al sig. Manson sulla parete, l’immagine di un profilo di viso umano; impronta che fu fatta dalla faccia di S. Pietro, quando nello scendere in quella prigione il carceriere gli die’ una ceffata, e lo fece percuotere con la testa nella pietra della parete, la quale, ammollitasi al tocco della santa testa, ricevè la impronta della sua faccia. Nel mezzo di questa seconda prigione sotterranea vi è un pozzo di acqua fatta scaturire miracolosamente da S. Pietro, quando convertì i carcerieri Processo e Martiniano, e li battezzò con altri quarantotto prigionieri.

Il signor Manson era pieno di venerazione per quella prigione nella quale l’Apostolo S. Pietro aveva dimorato, ed aveva operati prodigi; volle gustare quell’acqua miracolosa, e conservarne una piccola bottiglia, che comperò dal custode, per portarla in Inghilterra. Io mi credeva vittorioso, ed in uscire domandai al Valdese se era persuaso quello essere il carcere di S. Pietro.

“Io credo, rispose, che questo è il carcere Mamertino; perchè questo veramente è il posto ove era situato. La storia parla di questo carcere e dice che in esso erano rinchiusi solo gl’illustri prigionieri: quindi non poteva esservi rinchiuso il povero pescatore di Galilea. La storia ricorda i nomi de’ prigionieri che abitarono quel carcere; ma fra questi non vi è il nome di Pietro nè di Paolo; anzi riguardo a quest’ultimo, che fu veramente in Roma, la storia degli Atti apostolici dice che non fu in questo carcere. La storia mi dice che coloro che entravano in questo carcere non uscivano mai vivi, ma vi erano strangolati, ed i loro cadaveri, a terrore del popolo, erano precipitati dalle scale Gemonie che guardavano il Foro. Così noi sappiamo che in questo carcere fu fatto morire Giurgurta; furono strangolati per ordine di Cicerone, Lentulo, Cetègo, Statilio, Sabinio e Cepario, capi della congiura di Catilina: in esso fu ucciso Sejano per ordine di Tiberio, e Gioras figlio di Simone capo de’ Giudei fatto prigioniero da Tito: ma nessun documento storico parla nè di S. Pietro nè di S. Paolo. La storia dice che nessuno da questo carcere usciva vivo: dunque S. Pietro non vi è stato, perchè secondo voi non è morto qui.

Inoltre voi mi avete fatto vedere a Domine quo vadis che S. Pietro a persuasione de’ Cristiani era uscito dalla prigione. Ma da questa prigione non si poteva uscire, ed in essa non si poteva parlare con alcuno: non vi era altro modo di entrarvi che per l’apertura praticata in alto: la prima apertura metteva al carcere superiore che era pure inaccessibile; ma S. Pietro sarebbe stato al carcere inferiore inaccessibilissimo, ed assolutamente impossibilitato ad uscirne. Non si può ammettere che ne uscisse per miracolo, come uscì dal carcere di Gerusalemme; perchè allora non avrebbe potuto aver luogo il rimprovero che, secondo voi, ebbe da Gesù Cristo per esserne uscito. Sicchè vedete bene che questo carcere non prova nulla in vostro favore.”

“E la figura di S. Pietro impressa sulla pietra? e l’acqua miracolosa? e il battesimo dei prigionieri sono dunque tutte imposture?”

“Mio caro signor abate, non vi lasciate accecare dai pregiudizi; ma ragioniamo pacatamente prima di ammettere come certi i fatti. La scala, alla metà della quale è la pretesa figura di S. Pietro, è di costruzione recente: quando il carcere Mamertino era una prigione, non vi si scendeva per quella scala che non esisteva; ma si calavano in essa i prigionieri dal foro superiore. Se dunque non vi era quella scala, S. Pietro non potè passarvi e lasciare la sua figura sulla pietra. In quanto al pozzo, non vi vedo un miracolo: dovunque si scava in Roma a quel livello, si trova acqua che non è punto miracolosa. È poi cosa assurda pretendere che Dio operasse il miracolo di far sorgere quell’acqua per battezzare i carcerieri; i quali potevano facilmente portare l’acqua necessaria al battesimo, senza bisogno che si operasse un miracolo. Finalmente è un assurdo pretendere che insieme con S. Pietro e S. Paolo vi fossero in quella prigione altri quarantotto prigionieri: primo perchè quella era una prigione eccezionale, come abbiam detto; e poi, misurate pure la prigione e vedrete essere assolutamente impossibile che in essa fossero potute stare cinquantadue persone; neppure se fossero state come le acciughe in barile.”

Nell’udire queste ragioni, il signor Manson gettò via la bottiglia di acqua che aveva comperata, il signor Sweeteman rideva, ed io mi mordeva le labbra per la rabbia, non sapendo cosa rispondere di solido a tali ragioni. Io sono convinto che una buona risposta vi deve essere; ma io non la conosceva, e mi sdegnava contro il mio maestro che avendomi dato il programma, non mi avesse prevenuto delle obbiezioni del Valdese, e non mi avesse insegnate le risposte da farsi.

“Ebbene, dissi, andiamo a vedere il luogo ove S. Pietro fu crocifisso.”

“Volete dire, rispose il Valdese, il famoso tempietto di Bramante (Nota 7 - Tempietto di Bramante) in S. Pietro Montorio. Risparmiamo quella faticosissima salita ai nostri poveri cavalli: ed ecco il perchè. Io ho buone ragioni per credere che non solo S. Pietro non è morto in Roma, ma che egli non vi è mai venuto; ma quand'anche fossi persuaso che S. Pietro fosse morto in Roma, la vista del foro ove diciotto secoli fa sarebbe stata piantata la croce di S. Pietro, mi farebbe ridere. Chi può credere che quel foro, fatto sul terreno, siasi fatto conservato per tanti secoli? Eppoi i cultori delle antichità cristiane che sono in Roma, sebbene credono che S. Pietro morisse in questa città, pure non sono di accordo intorno al luogo del suo martirio. Leggete Bosio, leggete Arrighi, e quanti mai hanno scritto sul martirio di S. Pietro, e vedrete che alcuni di essi sostengono che S. Pietro fosse ucciso sul colle Vaticano, altri tra il Vaticano e il Gianicolo ove è il tempietto di Bramante. Sicchè è inutile che vi andiamo.”

Più si andava innanzi, più io mi trovava confuso e scoraggiato: ciononostante, siccome non aveva un motivo onesto per ritirarmi con onore, mi feci un pò di coraggio e condussi i miei compagni alla chiesa di S. Maria in Traspontina appartenente ai Padri Carmelitani.

Entrati in chiesa, chiamai il frate sagrestano acciò ci mostrasse le colonne di S. Pietro. Io sperava che il frate si sdegnasse sulle osservazioni che il Valdese avrebbe fatte, e nascesse così una contesa che mi avrebbe dato un buon pretesto per ritirarmi; ma invece accadde il contrario. Il frate ci condusse alla quarta cappella a sinistra, ove, appoggiate alle due pareti, incassate in legno, si conservano due colonne di marmo. Una iscrizione in versi latini dice che essendo i due Apostoli Pietro e Paolo legati a quelle due colonne e flagellati, gli apparve la immagine del Salvatore, che è su quell’altare, e parlò loro per lungo tempo consolandoli nei loro dolori.

Il Valdese sorrideva. Il frate sagrestano volgendosi verso lui gli disse: “Ella dunque non crede che questo sia vero?” “Per crederlo, rispose, desidererei vedere un qualche documento. La storia non ci dice nulla di questo fatto, e mi pare leggerezza crederlo senza nessuna prova. D’altronde queste colonne furono trovate nello scavare le fondamenta di questa chiesa nel 1563, cioè quindici secoli dopo la morte di S. Pietro: chi dunque quindici secoli dopo ha potuto attestare il fatto? In quanto poi alla immagine, la impostura è troppo grossolana; basta guardarla, per vedere che essa è opera relativamente moderna. Eppoi egli è fuor di dubbio che l’uso delle immagini fra i Cristiani incominciò molto tempo dopo S. Pietro.”

“Ha ragione il signore, disse il sagrestano: in tanti anni che faccio vedere queste colonne ai forestieri, ne ho trovati pochissimi che vi hanno creduto. E neppure io vi credo: ma cosa vuol fare? Ognuno deve fare il suo mestiere.”

Uscimmo dalla chiesa, e, fatti pochi passi, il Valdese ci pregò di entrare un momento con lui nella prossima chiesa di S. Giacomo Scossacavalli (Nota 8 - S. Giacomo Scossacavalli). Entrammo, ed esso ci fece vedere due grossi pezzi di marmo non lavorato, ed indicandoceli diceva: “Non vi è alcun dubbio, questa è pietra del paese: ebbene leggete.” Era scritto sopra que’ marmi che S. Elena li aveva portati da Gerusalemme; che uno di essi era l’altare sopra il quale Abramo aveva legato il suo figlio Isacco per sacrificarlo, l’altro era l’altare sopra il quale era stato posto il bambino Gesù per essere circonciso. “Vedete, soggiunse, qual fede possa prestarsi ai monumenti che si conservano in Roma.”

Il mio scoraggiamento aumentava, e nel mio cuore pregava la Vergine Maria ed i Santi Apostoli, acciò mi aiutassero. Giungemmo finalmente a S. Pietro. Appena entrati in chiesa, il Valdese mi disse: “Giacchè il signor abate ci ha fatto testè vedere due colonne, anch’io voglio mostrarvene una.”

Ciò detto, ci condusse alla prima cappella a destra di chi entra, detta la cappella della Pietà. Quivi si vede una colonna con una iscrizione, la quale dice: essere quella una colonna del tempio di Salomone, alla quale si appoggiava Gesù Cristo quando predicava nel tempio. “La Bibbia dice che il magnifico tempio di Salomone fu distrutto interamente da Nebucadnesar; dimodochè, quando fu riedificato da Zorobabel, bisognò incominciare dallo scavare di nuovo i fondamenti. La storia dice, e Gesù Cristo lo aveva predetto, che del tempio che esisteva a’ tempi della sua vita terrestre, non restò pietra sopra pietra: come dunque si è conservata questa colonna? Ecco l’antichità di cotali monumenti!”

Non mi restava altra speranza di convincerlo che facendogli vedere la cattedra di S. Pietro: lo condussi dunque dinanzi al magnifico altare di essa.

Questo grandioso monumento è collocato nell’abside della basilica, incontro la porta principale di essa. Quattro statue colossali in rame dorato, alta ciascuna palmi ventiquattro, sostengono leggermente e come in trionfo la cattedra di S. Pietro, la quale è dentro una fodera di rame dorato, con magnifici lavori di scultura e di cesello. I quattro colossi rappresentano due dottori della Chiesa latina, cioè S. Agostino e S. Ambrogio, e due dottori della Chiesa greca, cioè S. Atanasio e S. Giovanni Crisostomo. Un gruppo di angeli, scherzando fra nuvolette dorate, servono come di corona ad una colomba trasparente rappresentante lo Spirito Santo, che in mezzo di una grande finestra ellittica con vetri dipinti sembra gettar fasci di luce sulla cattedra, e così stabilire una specie di comuicazione fra essa ed il cielo.

Tanto magnifico e sorprendente è quel lavoro che il signor Sweeteman che non lo aveva veduto fu attonito per l’ammirazione, ed il signor Manson disse: “Spero che il signor Pasquali non avrà nulla ad obbiettare sopra un monumento così magnifico.”

“Non ho nulla a dire dal lato della magnificenza: non si poteva fare di più per appagare i sensi: ma avrei i miei motivi per credere che quella sedia sostenuta dai quattro dottori, ed onorata di una festa particolare, anzichè essere la sedia dell’umile Apostolo del Signore, sia la sedia di Solimano Califfo di Babilonia, o di Saladino di Gerusalemme.”

Io non potrei più resistere a così orribile bestemmia: non so fin dove mi avrebbe condotto il mio zelo; ma un tremore convulsivo mi prese, ed essi mi ricondussero in casa, e fui costretto a mettermi in letto.

Domani, se piace a Dio, ti scriverò il resto di questa avventura.

Il tuo amico
Enrico.

Vai ad inizio pagina.

Riepilogo note della lettera quarta

  1. Nota I - Chiesa di S. Pietro in vinculis;
  2. Nota II - Abate di detta chiesa;
  3. Nota III - Ermete e il libro del Pastore;
  4. Nota IV - Le catene di S. Pietro;
  5. Nota V - Rettificazione del testo;
  6. Nota VI - Falsificazione biblica;
  7. Nota VII - Tempietto di Bramante;
  8. Nota VIII - S. Giacomo Scossacavalli.
Vai ad inizio pagina.

« Lettera precedente | Indice | Lettera successiva »


Scrivi al Web Master:
Pagina completa; prima pubblicazione: 16 dicembre 2001;
ultimo aggiornamento: 2007;
Url: www.sentieriantichi.org