Roma Papale, descritta in una serie di lettere con note, da Luigi De Sanctis (1882).

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Lettera terza

Il Valdese ed il Gesuita

Enrico ad Eugenio

Roma, 1° dicembre 1846.

Mio caro Eugenio,

è qui in Roma un proverbio, il quale dice: “L’uomo propone, e Dio dispone,” e questo proverbio si verifica oggi in me. Io mi proponeva la conversione al cattolicismo di un Puseita, e Dio ha disposto di farmi forse strumento della conversione di altri due Protestanti. Eppure, lo crederesti, mio buon amico? le opposizioni a cotali conversioni le trovo piuttosto dalla parte de’ miei maestri, che dalla parte de’ Protestanti: però i buoni Padri agiscono così per prudenza, non per altro motivo; ma pure tanta prudenza non posso comprenderla. Basta, sarà quello che Dio vorrà; io metto tutto nelle sue mani; ed a te, come mio amico d’infanzia, voglio confidare tutto, sicuro della tua discrezione.

Tiraccontai come mi separai dal signor Manson per l’arrivo di que’ due forestieri. Quando mi separai, era il mezzogiorno. Due ore dopo, ricevo un biglietto del Padre P. che è uno de’ miei maestri, nel quale era invitato a portarmi la stessa sera da lui al Collegio Romano, avendomi a parlare di cose interessanti. Io mi recai all’invito, all’ora indicatami.

Il Padre P. mi accolse da principio con un po’ di sussiego; ma poco dopo, riprendendo il suo solito tuono paternale, mi disse: “Figliuol mio, gli esercizii di S. Ignazio vi hanno poco giovato, mi pare.”

Fui mortificato di quel rimprovero, che mi pareva non aver meritato, e pregai il Padre a spiegarsi.

“Cosa avete fatto questa mattina?”

Allora incominciai a raccontargli candidamente la conversazione avuta col signor Manson; ma egli m’interruppe.

“So tutto, ed è perciò, figliuol mio, che vi ho fatto venire da me. Voi non avete voluto seguire il mio consiglio; vi siete messo a disputare, ed avete rovinato tutto.”

Mi era impossibile comprendere le parole del buon Padre; io teneva quasi in pugno la vittoria sul mio Inglese, ed il mio maestro di teologia mi rimproverava, e mi diceva di aver tutto rovinato. Lo pregai di spiegarsi meglio.

“Figlio mio, rispose il buon Padre, se vi foste regolato secondo i miei consigli, la vostra visita non sarebbe stata così lunga; que’ signori che sono giunti dopo non vi avrebbero trovato lì, e, se vi avessero trovato, non vi avrebbero trovato in aria di discussione: la loro visita si sarebbe passata in una visita di complimento, e tutto sarebbe finito bene. Ma sapete voi cosa è accaduto dopo la vostra partenza? Quei due signori han voluto sapere di che parlava il signor abate (Nota 1 - Chi sono gli abati?) che era tanto riscaldato. Il signor Manson lo ha detto, e così è venuta voglia anche a loro di entrare in discussione con voi.”

“Oh! Padre mio, interruppi, tanto meglio: la verità è dalla mia parte, ed io non temo nulla.”

“Presunzione, figlio mio, presunzione! Voi non sapete con chi avrete a fare: quei due non sono già Puseiti come il signor Manson; ma sono due Protestanti ostinati, i quali vi attaccheranno con la Bibbia, e voi non saprete cosa rispondere. La Bibbia, interpretata nel suo vero senso, cioè in quello che le dà la nostra santa madre Chiesa, distrugge tutte le eresie; ma quando disputate con coloro che non ammettono quel senso, vi fanno vedere che la Bibbia è contro di noi. La santa madre Chiesa non permette neppure agl’inquisitori di disputare con gli eretici sulla Bibbia sola. No, figlio mio, se avete commesso il primo errore, non commettete il secondo; ritiratevi da questa discussione; scusatevi sulla mancanza di tempo: adesso voi avete le scuole e non potete occuparvi d’altro: procurate solo di condurre da me il vostro Inglese e non pensate ad altro.”

Il discorso del mio maestro non mi aveva persuaso; ma, pensando che mio dovere era l’obbedire, partii da lui determinato di non andare più dal mio Inglese; e, se egli mi avesse eccitato a continuare la discussione, scusarmi con bella maniera. Ma, lo ripeto, l’uomo propone e Dio dispone. Le circostanze m’impedirono di star fermo alla presa risoluzione.

La mattina dopo, mentre tornava in casa dopo la scuola, trovai il signor Manson che mi aspettava. Dopo le politezze di uso, egli mi raccontò che que’ due signori che avevano interrotta la nostra conversazione, avevano voluto sapere sopra quale soggetto discutevamo; ed avendolo saputo, ne avevano mostrato un grande interesse, e desideravano continuarla. Mi disse che il signor Sweeteman, il più giovane di essi, era il figlio di un gentiluomo inglese assai ricco; che egli aveva conosciuto questo giovane in Oxford, ove era stato a fare i suoi studi; ma che, essendosi innamorato delle dottrine del dottor Pusey, il padre che era un assiduo lettore del Record (Nota 2 - Il Record) si era fitto in capo che il suo figlio potesse divenire cattolico; e lo aveva mandato a Roma, nella persuasione che vedendo la corte romana da vicino ne prendesse orrore. A tale scopo gli aveva dato per aio il signor Pasquali, che era l’altro signore anziano che lo accompagnava. Mi disse che il signor Pasquali era un Piemontese appartenente alla setta de’ Valdesi, il quale conoscendo bene Roma e la Chiesa romana, era nell’impegno di mostrare al signor Sweeteman tutta la corruzione del cattolicismo. “Io, continuava egli, non sono cattolico romano, ma non mi piacciono que’ fanatici che trovano tutto cattivo quello che è nella Chiesa romana. Certo la Chiesa romana ha degli errori; ma essa merita rispetto, essendo la più antica di tutte le Chiese cristiane. Sicchè uniamoci per far conoscere al signor Pasquali il suo fanatismo.”

Questo discorso era per me una forte tentazione per non obbedire più al mio maestro: pure ebbi la forza di resistervi e mi scusai, dicendo che mi dispiaceva moltissimo non potere entrare in quella discussione; che il mio tempo era tutto occupato, che doveva seguire le mie lezioni che non mi lasciavano tempo disponibile. Sembra che il signor Manson fosse pago della mia scusa e non insistè. Rimase ancora un momento; poi mi disse: “Almeno non mi negherete un’ora di tempo questa sera per prendere una tazza di tè con me; la sera non avete lezioni.” Mi pareva troppa durezza ricusare, ed accettai l’invito.

All’ora convenuta, andai ma il signor Manson non era solo come io credeva: il signor Sweeteman ed il signor Pasquali erano già con lui. Io non aveva preveduto quell’incontro: se lo avessi preveduto, non sarei andato; ma poichè vi era, non mi parve conveniente ritirarmi; solo rinnovai nel mio cuore il proponimento di non entrare in alcuna discussione. Il signor Manson mi presentò ad ambedue, secondo la etichetta inglese. Si parlò di varie cose; poi il signor Manson cominciò a parlare delle belle chiese che si vedono in Roma, e dei stupendi monumenti dell’antichità specialmente ecclesiastica; e conchiuse dicendo, che se que’ dissidenti (Nota 3 - I dissidenti) che gridano tanto contro la Chiesa romana vedessero Roma, considerassero coscienziosamente i suoi monumenti, osservassero i suoi magnifici templi, la maestà dei suoi riti e della sua gerarchia, certo non griderebbero tanto contro di essa.

“Io sono di un sentimento tutt’affatto opposto al vostro, disse il Valdese; e sostengo che un Protestante di buona fede che vede Roma, e la considera quale essa è, trova appunto nei suoi monumenti, ne’ suoi templi, nella sua gerarchia, ne’ suoi riti, fortissimi argomenti per condannarla e giudicarla decaduta dalla pristina fede predicata da S. Paolo ai primi Cristiani di questa città. Anzi dico che se un Cattolico sincero ed illuminato, non educato ne’ pregiudizi, volesse seriamente esaminare queste cose, se volesse essere cristianamente logico, bisognerebbe che abbandonasse la sua Chiesa” (Nota 4 - Perchè alcuni Protestanti divengono cattolici in Roma?).

Si dissero molte cose su questo proposito. Il signor Manson sosteneva con calore la sua tesi: il Valdese freddo come il ghiaccio non cedeva un dito di terreno: il signor Sweeteman cercava tenere la via di mezzo; ed io fremeva nel mio cuore, ma taceva perchè non voleva disobbidire al mio maestro. Però pensava dentro di me, che, senza disobbidire, avrei potuto entrare a parlare, perchè non si parlava punto di Bibbia, ma di monumenti e di riti.

Mentre era in questa incertezza, il signor Sweeteman, dirigendomi la parola, disse: “Signor abate, voi non dovreste tacere sopra una questione che vi riguarda così da vicino.”

“Il signor abate si tace, disse il Valdese, perchè egli sa bene che la ragione è dalla mia parte, ma a lui non conviene confessarlo.”

A queste parole sentii salirmi un fuoco sul viso, ed un sentimento di santo zelo mi spingeva a scagliarmi su quell’ostinato eretico per insegnargli a parlar meglio della nostra santa religione. Non ricordai più i prudenti consigli del mio maestro, e, con voce soffocata dallo sdegno, risposi che il mio silenzio era tutt’altro che una tacita approvazione: era piuttosto compassione per la sua ostinazione nell’errore, che lo conduceva a sragionare; ed io taceva perchè cotali sofismi non mi parevano degni di risposta. “Come, soggiunsi, vedendo cotali monumenti che attestano della veneranda antichità del Cattolicismo, potete voi conchiudere che esso è falso? Forsechè una religione per esser vera deve essere moderna?”

Il Valdese, in luogo di offendersi, mi porse la mano in segno di amicizia, e, stringendo la mia nella sua, disse: “Sempre più mi confermo nella buona opinione che io aveva concepita di voi: voi siete un Cattolico sincero: siete cattolico perchè credete di essere nella verità; se giungerete a conoscere di essere nell’errore, io son certo che voi abbandonerete il cattolicismo per giungere al Vangelo.”

Non puoi figurare, caro Eugenio, quanto una tale proposizione mi offendesse. Io abbandonare la santa religione cattolica! vorrei piuttosto morire prima di avere un solo dubbio sopra la sua verità. Allora ricordai le esortazioni del mio maestro, e ne apprezzai la prudenza: mi pentii di non aver seguito i suoi savi consigli, e proposi di non più imbarazzarmi con eretici di tal fatta. Pensai al modo di uscire al più presto da quella casa, per non mettervi giammai più il piede; e mi contentai di rispondere che il signor Pasquali era le mille miglia lontano dal vero nel suo pensare al mio riguardo.

“Ebbene, rispose il Valdese, alla prova: io vi propongo una disfida, non di parole, ma di fatti. Voi avrete la bontà di condurci a vedere que’ monumenti che, secondo voi, provano la verità del cattolicismo romano: li esamineremo insieme; ed io vi do la mia parola d’onore, che se con essi vi riescirà a convincermi della verità del cattolicismo, io immediatamente mi faccio cattolico; all’opposto, se a me riuscirà convincervi del contrario, voi farete quello che vi detterà la vostra coscienza. Ma se voi non accettate una disfida così ragionevole, e tutta a vostro vantaggio, mi permetterete di credere che voi sete già persuaso di avere il torto.”

Per quanto un tale progetto mi adescasse, pure, risoluto di obbedire al mio maestro, mi scusava sulla mancanza di tempo: ma il Valdese mi fece osservare che trattandosi di condurre alla verità tre uomini che io credeva nell’errore, si doveva sacrificare a questa grande opera qualunque altra occupazione: inoltre mi fece osservare che, avendo già incominciata la discussione col signor Manson, la scusa della mancanza di tempo sembrava un pretesto; ed in realtà io non poteva più ritirarmi coscienziosamente. “D’altronde, mi disse, noi non abbiamo fretta; se piace a Dio, passeremo l’inverno in Roma: voi il giovedì non avete lezioni; avrete quindici giorni di vacanze per il Natale, dieci per il carnevale; ci darete dunque il giovedì, e le vacanze, e così non occuperete con noi il tempo destinato ai vostri studi.” Io non aveva più alcuna scusa onesta da opporre; quindi accettai, e si convenne che il prossimo giovedì si sarebbe andati insieme: quella sera era martedì.

Il mercoledì andai alla scuola, e mi avvidi che il professore mi guardava con occhio bieco, ed introduceva nella lezione delle frasi che mi ferivano, e, pronunciandole, mi fissava con uno sguardo significante. “Possibile, diceva fra me, ch’egli abbia saputo il fatto di ieri sera! Chi mai potrebbe averglielo raccontato?” Dopo la lezione, pregai il professore di ascoltarmi per un momento. Quando fummo soli, mi rimproverò fortemente per la mia disobbedienza; e “Badate, mi disse, io non vi garantisco dalle terribili conseguenze che essa potrebbe avere per voi.” Fui atterrito dai rimproveri del buon Padre; egli mi volgeva le spalle per lasciarmi; ma io mi gettai a’ suoi piedi, strinsi le sue ginocchia, e tanto pregai, fino a che si commosse, e riprese il suo tuono amorevole.

“Ebbene, mi disse, vediamo se è possibile di porre un rimedio alla vostra imprudenza; ma vi giuro che è per l’ultima volta che vi consiglio: se voi non obbedite puntualmente, vi abbandono a tutte le conseguenze della vostra imprudenza.” Io promisi obbedirlo puntualmente; ed allora il buon Padre mi condusse nella sua camera per darmi tutte le istruzioni opportune.

Io ti dico tutto, caro Eugenio, perchè tu sei l’amico del mio cuore; e perchè tu conosca la prudenza di que’ buoni Padri, i quali conoscendo la mia poca esperienza, e temendo della mia giovinezza, mi davano buoni consigli perchè potessi uscire con onore da questa disputa.

Giunti nella sua camera, “Figlio mio, mi disse, giacchè siete entrato in questo terribile impegno, bisogna che ne usciate con onore. Domani andate all’appuntamento; ma, badate bene, domani solamente. Bisogna scegliere un punto che sia capitale, che confermi il Puseita, non attacchi il signor Sweeteman, e faccia andare in bestia il Valdese, e che non sia difficile ad essere onorevolmente sostenuto. L’esito di una discussione dipende moltissimo dalla scelta del tema, e, secondo i patti, sta a voi sceglierlo. Voi dovete condurre i vostri Protestanti alla visita de’ monumenti; ebbene dove pensate condurli?”

“Alle catacombe,” risposi.

“Non potreste scegliere di peggio. Il Valdese vi dirà che le catacombe erano cemeteri pubblici ove si seppellivano e Gentili e Cristiani alla rinfusa; che quelli non potevano essere luoghi di sacre riunioni; che i Gentili custodivano con molta cura il loro cemeteri, e non avrebbero mai permesso che i Cristiani andassero colà a celebrare i loro misteri da essi giudicati profani: e se voi gli mostrate le cattedre di pietra, gli altari ed altri monumenti, vi dirà che vi sono stati posti dopo, per la ragione che i Gentili non avrebbero permesso ne’ loro cemeteri quelle riunioni che non permettevano altrove: vi dirà tante altre cose alle quali voi non potreste rispondere. No figlio mio, fate a mio modo, non li conducete alle catacombe. Il tema delle vostre ricerche di domani sia S. pietro, ed ecco il vostro itinerario. Conduceteli a S. Pietro in vinculis; e là il P. Abate, che sarà avvisato da me, mostrerà a loro i documenti che dimostrano quella chiesa essere stata fabbricata da Pudenzio Senatore, e consacrata dallo stesso S. Pietro: gli mostrerà anche le catene con le quali fu legato l’Apostolo per ordine di Erode e di Nerone. Di là, scendete al Foro romano, detto Campo Vaccino, e conduceteli al carcere Mamertino, ove S. Pietro fu in prigione: salite poscia al Gianicolo, e nella chiesa di S. Pietro in Montorio, mostrategli il luogo ove S. Pietro fu crocifisso: conduceteli a S. Maria in Traspontina, e nella quarta cappella a sinistra di chi entra, mostrategli quelle due colonne alle quali furono legati i due Santi Apostoli Pietro e Paolo e vi furono flagellati. Finalmente conduceteli al Vaticano a vedere i corpi de’ Santi Apostoli e la cattedra di S. Pietro. Da tutti questi monumenti voi dedurrete facilmente essere cosa evidente che S. Pietro ha seduto in Roma come Vescovo, e che è morto in questa città; e quindi che i Vescovi di Roma sono suoi successori: e siccome S. Pietro era il primo degli Apostoli, ed aveva particolari promesse, cioè le chiavi del regno dei cieli, il primato, il diritto di confermare gli altri Vescovi, e la infallibilità, queste cose da lui sono passate per diritto di successione ai Papi seguenti, i quali per una continua successione sono giunti fino ai nostri giorni. Qui il Valdese vorrà fuggirvi, e vorrà argomentare con la Bibbia; ma voi lo richiamerete all’ordine: la disfida essendo stata proposta ed accettata solo per discutere sui monumenti: il buon Puseita sarà dalla vostra parte, non ne dubitate.”

“Ma credete voi , Padre mio, che il signor Pasquali ceda così presto?”

“Non si tratta, figlio mio, di farlo cedere: ci vuol altro per vincere la ostinazione di un Valdese un poco dotto! Si tratta solamente di farvi uscire con onore dall’imbarazzo nel quale vi siete posto. Egli non cederà certo; anzi vedrete che incomincierà a cavillare sopra questi monumenti: voi allora vi mostrerete offeso, per qualche parola irriverente che certamente gli uscirà di bocca; lo rimprovererete di non essere stato ai patti; esagererete, se ve ne sarà bisogno, il vostro sdegno; e li lascerete, e così vi trarrete d’impaccio.”

Io so che tutto quello che dicono questi buoni Padri è alla maggior gloria di Dio; ma, ti dico sinceramente, io non era contento di que’ consigli. Mi pareva che non vi fosse dirittura; e poi mi sembrava viltà abbandonare così il campo sul più bello.

Il Padre si avvide che io titubava, e percuotendo leggermente sulla mia spalla: “Povero Enrico, mi diceva amorevolmente, siete molto sfortunato! La prima volta che vi provate a fare il missionario vi capita un Puseita che non dovete convertire, ed un Valdese ostinato e dotto col quale non vi dovete cimentare. Ma non perdete il coraggio; un’altra volta avrete miglior successo.”

“Ma non potrei?......”

“No, interruppe bruscamente il Padre; non potete e non dovete fare altrimenti di quello che io ho detto. Sapete voi cosa accadrà, se non mi obbedite? Entrerete in questioni dalle quali non potrete uscirne con onore: dai monumenti si passerà alla Bibbia: e con quella maledetta arte che hanno costoro in maneggiarla, finirà che il Puseita ci abbandonerà e tornerà protestante; l’altro si confermerà sempre più ne’ suoi errori; il Valdese trionferà, e voi gli avrete data la vittoria. E di voi allora che sarà? Ricordatevi che a Roma esiste la inquisizione, non solo per gli eretici, ma anche per chiunque porta il menomo danno alla S. Chiesa.” Ciò detto, mi aprì la porta e mi congedò.

Le ultime parole del mio maestro mi atterrirono. Andai in casa assai preoccupato su quello che avrei fatto; ed in casa trovo un biglietto del Segretario del Vicariato, che mi ordina di presentarmi al Vicariato subito, per sentire alcuni ordini di Sua Eminenza che mi riguardavano.

Quando un ecclesiastico è chiamato in quel modo alla segreteria del Vicariato, è segno che è stato accusato di qualche mancanza. Senza perdere un istante, corsi alla segreteria; e que’ preti impiegati si scambiarono fra loro delle occhiate d’intelligenza, e guardarono me con un sorriso sardonico. Domandai del signor Canonico segretario, e fui introdotto.

Il Canonico segretario di cui ti parlo è un prete dai 70 agli 80 anni, vecchio venerando, che è l’esempio e lo specchio di tutti i preti di Roma: amato dal Papa, e da quasi tutti i Cardinali, riverito, e direi quasi venerato da tutto il clero: predicatore zelante, confessore istancabile, lo trovi sempre eguale a se stesso dalla mattina quando si leva per dire la messa, fino alla sera nella sua partita alle carte che mai non lascia (Nota 5 - Il giuoco di carte). Il buon Canonico mi fe’ sedere al suo fianco, e mi disse, essere molto dolente di dovermi fare una riprensione, ma che era obbligo del suo ufficio il farla: e dopo molte parole sulla cautela e la prudenza che debbono usare gli ecclesiastici per non compromettere la S. Chiesa, mi disse che il Cardinal Vicario non era punto contento della mia condotta, per le frequenti conversazioni che io aveva co’ Protestanti; ed a nome del Cardinal Vicario mi ordinò di cessare assolutamente da quelle conversazioni. “Voi sapete, soggiunse, i canoni de’ sacrosanti concilii III e IV di Laterano cosa insegnano a riguardo degli eretici (Nota 6 - Leggi canoniche contro gli eretici); eppure voi ieri sera avete preso il tè con loro: ma vi pare, figliuolo mio!”

Io non sapeva più in che mondo io fossi: accusato, rimproverato, minacciato, e perchè? per un’opera che a me pareva la migliore che avessi fatta in tutta la mia vita. Non potei più resistere; il mio cuore era pieno, e traboccò in un dirotto pianto convulsivo che mi soffocava. Il Canonico chiamò aiuto, ed i preti della segreteria accorsero: fui soccorso; e, calmato alquanto, pregai il buon Canonico ad ascoltarmi: tutti si ritirarono, e narrai al Canonico segretario tutto il fatto.

Quando ebbi tutto raccontato, “Rassicuratevi, mi disse; il Cardinal Vicario era stato informato diversamente; ma io credo a voi: il vostro racconto è naturalissimo, e tutto mi dice che la cosa sta precisamente come voi la dite: e sebbene non sarebbe in mia facoltà cangiar l’ordine del Cardinale, pure ne prendo la responsabilità su di me: il Cardinale è assai ragionevole, e si persuaderà facilmente. Seguitate pure, figliuol mio, l’impegno preso; ma con prudenza, per carità! Voi non potete in nessun caso compromettere la causa della S. Chiesa, perchè non avete nessun carattere ufficiale: solo vi prego di badare per voi, figlio mio: cotesti eretici sono pericolosi. Prima d’incominciare ogni discussione dite tre Ave Maria alla Madonna, che, come c’insegna la S. Chiesa, sola ha uccise tutte l’eresie; e poi non temete di nulla.”

Così parlò quell’ottimo prete.

Allora io mi tranquillizzai, e decisi di seguire i suoi consigli piuttosto che quelli del mio maestro, e tornai in casa contento, ed ho impiegato il resto del giorno e la sera a scriverti questa lettera. Domani sarà la prima visita alle antichità romane, e penso servirmi del programma datomi dal mio maestro: dopo domani, se piace a Dio, ti scriverò l’esito.


Ama il tuo affezionatissimo
Enrico.
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Riepilogo delle note alla Lettera terza

  1. Nota I - Chi sono gli abati?
  2. Nota II - Il Record;
  3. Nota III - I dissidenti;
  4. Nota IV - Perchè alcuni Protestanti divengono cattolici in Roma?
  5. Nota V - Il giuoco di carte;
  6. Nota VI - Leggi canoniche contro gli eretici.
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Pagina completa; prima pubblicazione: 25 novembre 2001;
ultimo aggiornamento: 2007;
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