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Confutazione della dottrina:

"Una volta salvati sempre salvati"

Introduzione

In seno a molte Chiese Evangeliche viene insegnata la seguente dottrina: che chi ha creduto nel Signo­re non corre in alcun modo il rischio o il pericolo di andare in perdizione; in altre parole la dottrina che esclude possa esserci la possibilità che un credente dopo avere creduto per un certo tempo rinneghi la fede e vada così in perdizione. Tra le Chiese che la insegnano ci sono le chiese Battiste, le Chiese Riformate, le Chiese Valdesi, le Chiese Presbiteriane, e le Chiese dei Fratelli.

Ecco alcune dichiarazioni a tale proposito: citerò prima dichiarazioni di singoli credenti e poi alcuni articoli di fede di alcune famose confessioni di fede.

Renè Pache, che è stato direttore della Scuola Biblica Emmaus di Ginevra, i cui libri tradotti anche in Italiano sono molto apprezzati anche in seno alle Chiese dei Fratelli, ha scritto: ‘Chi può commettere il peccato contro lo Spirito Santo? Per defi­nizione, tutti coloro che, fino alla fine, rifiutano di pentirsi e di ac­cettare il Salvatore. Ma è possibile per un figliuolo di Dio, veramente rigenerato, di commettere questo peccato? Noi non lo crediamo, perchè egli ha già permesso allo Spirito di entrare in Lui e di convincerlo' (Renè Pache, La persona e l'opera dello Spirito Santo , Arezzo 1950, pag. 63).

Rinaldo Diprose, della Chiesa dei Fratelli, ha detto: ‘Non credere in Cristo equivale a ritrarsi dall'Iddio vivente e non otte­nere la salvezza eterna (...) Concludiamo, dunque, nell'affermare che i brani esortativi sopra considerati [Ebrei 3:12; 4:1-3; 4:9-11] non insegnano che il credente corra il pericolo di perdere la salvezza. Essi insegnano piuttosto che quanti sono religiosi corrono il pericolo di non giungere alla salvezza per mancanza di una fede incondizionata in Cristo' (Rinaldo Diprose, ‘Il problema dell'apostasia nei brani esortativi della lettera agli Ebrei' in Lux Biblica , N° 6 1992, pag. 59).

Guglielmo Standridge, pastore della Chiesa Bereana, ha detto: ‘Chi è salvato ha già ricevuto in dono la vita eterna e non si perderà mai, né commetterà dei peccati così gravi da potergli togliere la salvezza. (...) Chi è veramente salvato, invece ‘vincerà', non ‘calpesterà' mai il sangue di Cri­sto, e vivrà con il Signore per l'eternità. Quale grande salvezza Gesù ha acquistata con il suo sangue! Il ‘buon pastore' non perderà mai una delle sue pecore' (Guglielmo Standridge, ‘Si salva solo chi vince?' in La voce del Vangelo , N° 7 Luglio 1994, pag. 8),

Ernest F. Kevan, che è stato rettore del London Bible College, famosa università Biblica di Londra, ha scritto: ‘La risposta evangelica al problema della perseveranza ultima è che essa è interamente assicurata in Cristo, che Dio non ritira mai il suo aiuto da coloro che Egli ha scelti e ha giustificati e che, anche se talvolta Egli permette che il credente vacilli e pecchi, provvede che nessuno di essi cada irrimediabilmente (….) La dottrina della salvezza finale dei credenti attraverso la preservazione divina e la loro perseveranza nella santità trova pieno appoggio nell'intero sistema della verità cristiana. Essa è conforme alla dottrina della sovranità di Dio nell'elezione e nella predestinazione, con il patto di redenzione in cui il Padre diede al Figlio quella moltitudine che nessun uomo può contare; con il carattere sostitutivo della morte di Cristo e la Sua attuale opera di intercessione; con la profonda unione mistica che esiste tra Cristo e coloro che condividono la sua vita; con la fattiva opera dello Spirito Santo che rende reale nell'esperienza del credente tutto ciò che Cristo ha fatto per lui; e, infine, con la sicurezza della salvezza che è data al credente per mezzo della fede in Cristo e l'intima testimonianza dello Spirito Santo' (Ernest F. Kevan, Salvezza , Genova 1979, pag. 108,117)

Il quinto articolo di fede della Southern Baptist Convention (La Convenzione Battista del Sud) accettato anche dai Battisti in Italia dice: ‘Tutti i veri credenti perseverano fino alla fine. Quelli che Dio ha accettato in Cristo, e santificato per mezzo del suo Spirito non scadranno mai dallo stato di grazia, ma persevereranno fino alla fine. I credenti possono cadere nel peccato per mezzo della negligenza e della tentazione, e per mezzo di esso essi contristano lo Spirito, essi danneggiano le loro grazie e i loro conforti, ed espongono la causa di Cristo al biasimo, e attirano su loro stessi dei giudizi temporanei; ma essi saranno conservati dalla potenza di Dio per mezzo della fede a salvezza'.

La Confessione di fede di Westminster pubblicata la prima volta nel 1646 (a cui si rifanno le Chiese Riformate e le Chiese Presbiteriane) nel suo diciassettesimo articolo afferma quanto segue: ‘1. Quelli che Dio ha accolto nel suo amato Figliolo, quelli che efficacemen­te ha chiamato e santificato per il suo Spirito, non possono scadere né totalmente né definitivamente dallo stato di grazia; anzi, persevereranno certamente in quello stato fino alla fine, e saranno salvati eternamente. 2. Questa perseveranza dei santi non dipende dalla loro libera volontà, ma dall'immutabilità del decreto dell'elezione, il quale procede dall'amore gr­atuito ed immutabile di Dio Padre, dall'efficacia del merito e dell'inter­cessione di Gesù Cristo; dalla dimora in essi dello Spirito, dal seme di Dio presente in loro, e dalla stessa natura del patto di grazia. Tutti questi fattori danno luogo alla certezza ed infallibilità della perseveran­za dei santi. 3. I santi tuttavia possono cadere in peccati molto gravi a causa delle tentazioni di Satana e del mondo, dal prevalere in essi della loro corruzione residua, e dal fatto di avere trascurato i mezzi che Dio ha provveduto per preservarli. E' possibile che continuino in questo stato per un certo tempo, in modo da causare su di loro il dispiacere di Dio, da contri­stare il suo Spirito Santo e da venire privati in qualche misura delle loro grazie e consolazioni, da subire l'indurimento del loro cuore ed il ferimento della loro coscienza, da offendere e scandalizz­are gli altri e da attirare su di sé giudizi tempora­nei'.

L'articolo ventiseiesimo della Confessione di fede dei Valdesi del 1662, a cui si rifanno anche i Valdesi di oggi, afferma: ‘Che la Chiesa non può mancare e essere ridotta al niente, ma che deve esser perpetua, tutti gli eletti essendo, ognuno nel suo tempo, chiamati da Dio nella comunione dei santi, e talmente per la virtù del suo santo Spirito sostenuti e conservati nella fede, che perseverando in essa conseguono l'eterna salvezza'.

Per ciò che concerne le dichiarazioni presenti nella Confessione di fede di Westminster e nella Confessione di fede dei Valdesi, si tenga presente che esse furono promulgate sulla base di quanto aveva insegnato a tale proposito Giovanni Calvino (1509-1564), il noto riformatore nato in Francia e che svolse la sua opera nella città di Ginevra, che nelle Istituzioni della Religione Cristiana scrisse quanto segue: ‘….. fra quelli che Gesù Cristo ha unito al suo corpo, non permetterà che alcuno perisca, visto che per attuare la loro salvezza spiegherà la potenza di Dio, che, secondo la promessa, è più forte di ogni cosa' (Giovanni Calvino, Istituzioni della Religione Cristiana , libro terzo, cap. XXII, 7 ), ed ancora: ‘Inoltre è cosa certa che Gesù Cristo, pregando per tutti gli eletti, chiede per loro quel che aveva chiesto per Pietro: che la loro fede non venga meno. Ne concludiamo che non corrono il pericolo di una caduta mortale, visto che la richiesta del figlio di Dio, che rimanessero saldi, non è stata respinta. Che cosa Cristo ci ha voluto qui insegnare, se non renderci certi che avremo la salvezza eterna, poichè una volta siamo stati fatti suoi?' ( ibid., libro terzo, cap. XXIV, 6). Ma oltre a quelle Confessioni, ce ne sono altre di confessioni antiche che praticamente si basarono sull'insegnamento di Calvino, come per esempio la Confessione di fede Belga del 1561.

Come si può vedere, in tutte queste dichiarazioni c'è la chiara attestazione che un credente non corre in nessuna maniera il pericolo di perdere la salvezza, o di scadere dalla grazia: una simile eventualità è rigettata categoricamente.

Ma con quali Scritture viene sostenuta questa dottrina? Per sostenere questa dottrina vengono prese principalmente le seguenti parole di Gesù: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date, è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre” (Giovanni 10:27-29), “Tutto quel che il Padre mi dà, verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori; perché son disceso dal cielo per fare non la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: ch'io non perda nulla di tutto quel ch'Egli m'ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figliuolo e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Giovanni 6:37-40); e queste altre parole di Paolo: “Poiché io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potestà, né altezza, né profondità, né alcun altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:38-39), e queste altre ancora sempre di Paolo: “Colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6). Tutte parole queste che vengono messe in relazione al proponimento dell'elezione di Dio che dipende non dalle opere ma dalla volontà di Colui che chiama, e secondo il quale Dio fa misericordia a chi vuole e indura chi vuole, e secondo il quale quelli che Dio “ha preconosciuti, li ha pure predestinati ad esser conformi all'immagine del suo Figliuolo, ond'egli sia il primogenito fra molti fratelli; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati” (Romani 8:29-30). Quest'ultimo mio discorso vale in particolare per i Battisti, i Valdesi, i Riformati e i Presbiteriani, perché per ciò che concerne le Chiese dei Fratelli, la predestinazione non è una dottrina insegnata nel loro mezzo.

Ora, queste Scritture sono veraci e noi crediamo fermamente in esse; ma il fatto è che vi sono diverse altre Scritture che attestano che noi che siamo stati salvati saremo salvati a condi­zione che riteniamo fino alla fine la fede in Cristo: ed anche altre Scritture che ammettono che un credente può tirarsi indie­tro a sua perdizione. Perciò errano coloro che insegnano ‘una volta salvati sempre salvati'; perché così dicendo non ammettono quello che la Scrittura ammette; e cioè che un credente se, e ripeto se, si tira indietro andrà in perdizione, e quindi non ammettono che ci siano stati nel corso della storia della chiesa degli uomini e delle donne che dopo avere creduto nel Vangelo un giorno hanno rinnegato il Signore e sono andati in perdizione. Non è una cosa da poco questa, perché così dicendo illudono i credenti, facendo loro credere che alla fin fine non importa in che peccati cadranno essi saranno salvati, perchè per quanto gravi questi peccati potranno essere, di certo il Signore li farà tornare a Lui, ossia gli darà il ravvedimento. Cosa questa che non è affatto vera perché innanzi tutto non è detto che uno che si svia dalla fede e dalla verità riceva dal Signore la grazia di ravvedersi e riconoscere la verità, ci sono casi in cui questo è accaduto ma non in tutti; e poi perché esiste un peccato che mena a morte. Ma allora costoro come spiegano tutti quei casi di persone di cui si dice che hanno rinnegato il Signore? In questa maniera, dicendo che essi non avevano veramente creduto e che quindi erano dei non credenti anche in quei giorni in cui essi facevano professione di credere nel Signore Gesù Cristo. E come spiegano sempre questi fratelli quei passi della Scrittura che fanno capire che c'è la possibilità di rinnegare il Signore e andare in perdizione? Dicendo che si tratta di passi che suppongono una certa cosa per amore di discussione, quindi di passi che non possono avere un compimento pratico. Ma tutto ciò lo vedremo meglio in seguito.

 

Confutazione

Adesso comincerò a confutare questa eresia parlando innanzi tutto del peccato che mena a morte; e poi esaminando tutte quelle Scritture che attestano in svariate maniere che noi saremo salvati a condi­zione che perseveriamo sino alla fine nella fede e nel buon operare e che se ci tiriamo indietro il Signore ci rinnegherà. E poi infine risponderò alle principali obbiezioni mosse dai sostenitori di questa falsa dottrina.

Il peccato che mena a morte; da cui è impossibile ravvedersi

L'apostolo Giovanni ha scritto: “Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non meni a morte, pregherà, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono peccato che non meni a morte. V'è un peccato che mena a morte; non è per quello che dico di pregare. Ogni iniquità è peccato; e v'è un peccato che non mena a morte” (1 Giovanni 5:16,17).

Ora, ogni iniquità è peccato, e noi sappiamo che “il peccato è la violazione della legge” (1 Giovanni 3:4), come dice lo stesso Giovanni, e che la Scrittura attesta che “il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23), quindi, deve essere ben chiaro che quand'anche sia un figliuolo di Dio a peccare la mercede che la violazione della legge gli dà è la morte; e difatti, è proprio per questa ragione che il credente, se pecca, dopo che ha peccato è turbato, è scon­tento ed avverte un dolore nell'interno che lo trafigge come una freccia, appunto perché “il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23). Ma l'apostolo scrive: “Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non meni a morte, pregherà, e Dio gli darà la vita, a quelli, cioè, che commettono peccato che non meni a morte” (1 Giovanni 5:16); ciò significa che se noi vediamo un fratello commettere un peccato che non mena a morte, dobbiamo pregare Dio affinché egli sia vivificato, sì, perché Dio dà la vita al credente che commette un peccato che non mena a morte e si pente del suo peccato confes­sandolo ed abbandonandolo. C'è però un peccato che se un credente commette è impossibile di nuovo menarlo a ravvedimento e perciò è inutile pregare per lui infatti Giovanni dice: “Non è per quello che dico di pregare” (1 Giovanni 5:16); in altre parole, per quel fratello che commette questo peccato che mena a morte non c'è più la possibilità di ravvedersi e di ottenere vita da Dio. Che fine aspetta questo credente? Il credente che commette questo peccato a morte è condannato alla morte seconda, cioè allo stagno ardente di fuoco e di zolfo e ciò perché questo peccato conduce, chi lo commette, alla morte seconda.

Ma in che cosa consiste questo peccato così grave? Nell'abbandono volontario da parte di un credente maturo della fede nel Signore Gesù Cristo, o per dirlo in altre parole, nel rinnegamento del Signore. Questo lo dico basandomi su quello che trovo scritto nell'epistola agli Ebrei. Ecco quanto leggo infatti: “Perché quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo a venire, se cadono, è impossibile rinnovarli da capo a ravvedimento, poiché crocifiggono di nuovo per conto loro il Fi­gliuolo di Dio, e lo espongono ad infamia. Infatti, la terra che beve la pioggia che viene spesse volte su lei, e produce erbe utili a quelli per i quali è coltivata, riceve benedizione da Dio; ma se porta spine e triboli, è riprovata e vicina ad essere maledetta; e la sua fine è d'essere arsa” (Ebrei 6:4-8). Come si può ben vedere, di costoro che se cadono è impossibi­le menarli da capo a ravvedimento, vengono dette le seguenti cose, che un giorno costoro sono stati illuminati, hanno gustato il dono celeste, sono stati fatti partecipi dello Spirito, hanno gustato la buona parola di Dio e hanno gustato le potenze del mondo venire. Non c'è il minimo dubbio, lo scrittore agli Ebrei sta parlando di Cristiani, di veri Cristiani rigenerati dalla Parola di Dio, e santificati dallo Spirito Santo, di figli di Dio. Infatti, chi, dopo avere udito l'Evangelo della grazia s'è avvi­cinato a Dio riconoscendosi peccatore e bisognoso di essere salvato è stato illuminato da Dio che è luce; e quando egli crede con il suo cuore nel Signore nostro Gesù Cristo ottenendo la remissione dei suoi peccati e la vita eterna egli gusta il dono celeste che è Cristo Gesù perché è scritto: “Il dono di Dio è la vita eterna” (Romani 6:23) e perché Giovanni, parlando del Figliuolo di Dio, dice: “Quello è.. la vita eterna” (1 Giovanni 5:20); e quando egli viene battezzato con lo Spirito Santo viene reso partecipe dello Spirito Santo (a tal proposito va anche detto però che chi crede sin dal momento che crede ha una misura di Spirito Santo, per cui lo Spirito Santo è già in lui sin dalla conversione, quando però egli sarà battezzato con lo Spirito Santo riceverà una misura maggiore di Spirito Santo perché ne sarà ripieno). Avere gustato la buona Parola di Dio significa essersi cibati non solo del “puro latte spirituale” (1 Pietro 2:2) ma anche del cibo solido che è per uomini fatti; e avere gustato “le potenze del mondo a venire” (Ebrei 6:5) significa avere ricevuto dei doni dello Spirito Santo.

Ora, se, chi ha sperimentato tutte queste cose rigetta il Signore, e si tira indietro (lasciandosi avviluppare e vincere dalle contamina­zioni del mondo), prendendo la decisione di non volere più segui­re il Signore e di rinunziare a Cristo e di non volerne più sentire parlare, quel tale commette il peccato che mena a morte e per quel tale non si deve pregare perché è impossibile menarlo da capo a ravvedimento perché crocifigge per conto suo di nuovo il Figliuolo di Dio e lo espone ad infamia.

Lo scrittore di questa epistola usa questa similitudine, egli dice che la terra che viene annaffiata da Dio e produce erbe utili a quelli che la coltivano viene benedetta da Dio, ma se porta spine e triboli viene riprovata e maledetta e la fine che l'aspetta è quella di essere arsa; e così è del credente, perché se egli dimora nel Signore il Signore dimora in lui, egli porta molto frutto alla gloria di Dio e Dio lo benedice; ma se egli smette di dimorare nel Signore, il Signore smetterà di dimorare in lui e lui porterà solo spine e triboli, diventando un uomo riprovato quanto alla fede, un figliuolo di maledizione che alla fine sarà gettato nello stagno ardente di fuoco e di zolfo per essere quivi arso e tormentato per l'eternità.

Ma quale fu la ragione che spinse lo scrittore a rivolgere questo severo monito agli Ebrei che avevano creduto in Gesù Cristo? La ragione per cui lo scrittore di questa epistola scrisse queste cose agli Ebrei che avevano creduto nel Signore nostro Gesù Cristo è la seguente: questi credenti stavano sopportando una grande persecuzione a motivo della loro fede in Gesù Cristo ed erano tentati, in mezzo alla persecuzione, a tirarsi indietro e lo Scrittore, che conosceva sia loro che le sofferenze che essi dovevano sopportare a motivo del Vangelo, li esortò a ritenere ferma fino alla fine la loro fiducia in Cristo e li mise in guardia dal tirarsi indietro e dal rinunciare alla grazia per tornare a offrire quei sacrifici per il peccato il cui sangue non poteva cancellare i peccati, perché se lo avessero fatto si sarebbero condannati da loro stessi alla eterna perdizione perché avrebbero calpestato il Figliuolo di Dio e avrebbero tenuto per profano il sangue del patto col quale erano stati santificati, e avrebbero oltraggiato lo Spirito della grazia. Egli parlò loro della sorte che attende chi si tira indietro e del castigo che costui è degno di ricevere dall'Iddio vivente in questi termini: “Perché, se pecchiamo volontariamente dopo avere ricevuto la conoscenza della verità, non resta più alcun sacrificio per i peccati; rimangono una terribile attesa del giudizio e l'ardore d'un fuoco che divorerà gli avversari. Uno che abbia violato la legge di Mosè, muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimo­ni. Di qual peggior castigo stimate voi che sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il Figliuolo di Dio e avrà tenuto per profano il sangue del patto col quale è stato santificato, e avrà oltraggiato lo Spirito della grazia? Poiché noi sappiamo chi è Colui che ha detto: A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo. È cosa spaventevole cadere nelle mani dell'Iddio vivente” (Ebrei 10:26-31). Queste parole sono anch'esse rivolte a tutti noi che abbiamo creduto perché lo stesso scrittore che era un credente si incluse dicen­do: “Se pecchiamo volontariamente dopo avere ricevuto la cono­scenza della verità..” (Ebrei 10:26) (noi figliuoli di Dio abbiamo ricevuto la conoscenza della verità), e perché noi siamo coloro che sono stati santificati col sangue del patto. Quindi fratelli, se coloro che hanno conosciuto la verità che è in Cristo Gesù, peccano volontariamente, cioè se peccano a morte, essi commettono un peccato che non gli potrà essere rimesso (peccato che ripaga il trasgressore con la morte eterna), e per loro non rimarrà più alcuna speranza di essere salvati perché perderanno la buona speranza che hanno; quello che rimarrà per loro sarà solo la terribile attesa del giudizio di Dio. Essi saranno giudicati degni di ricevere un castigo peggiore di quello che ricevevano quelli che trasgredivano la legge di Mosè e che venivano messi a morte, perché avranno calpestato il Figliuolo di Dio, tenuto per profano il sangue di Cristo con il quale sono stati cosparsi ed avranno oltraggiato lo Spirito della grazia, cioè lo Spirito Santo che è nei nostri cuori e per mezzo del quale gridiamo: Abba! Padre!; (ricordatevi che Gesù disse: “Chiunque avrà bestem­miato contro lo Spirito Santo, non ha remissione in eterno, ma è reo d'un peccato eterno” [Marco 3:29]).

A questo punto desidero fare una precisazione importante, che non ce ne sarebbe bisogno perché ho già spiegato in che cosa consiste il peccato che mena a morte, ma per evitare che qualcuno fraintenda il mio discorso la voglio ugualmente fare. E' evidente che sia l'espressione “se cadono” (Ebrei 6:6) che quella “se pecchiamo volontariamente” (Ebrei 10:26) fanno riferimento al peccato che mena a morte e non a qualsiasi peccato perché altrimenti ciò signifi­cherebbe che per una qualsiasi violazione della legge sarebbe impossibile, per chi la commette, ravvedersi da essa ed ottenere il perdono di essa e che non ci sarebbe più alcuna speranza per il credente perché condannato al fuoco eterno. Cosa questa che non è assolutamente vera perché la Scrittura spiega in svariate maniere che presso il Signore v'è abbondanza di redenzione perché noi figliuoli di Dio, anche se cadiamo in qualche peccato, abbiamo presso il Padre un avvocato, cioè Gesù Cristo il Giusto che è la propiziazione dei nostri peccati (cfr. 1 Giovanni 2:1-2). Ecco perché Giovanni dice che “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9).

Peccati da cui è possibile ravvedersi e dei quali si può ottenere la remissione

Il discorso che adesso sto per fare ha lo scopo di dimostrare mediante le Scritture che non tutti i peccati che un credente potrebbe commettere sono a morte infatti da un qualsiasi peccato che non è a morte ci si può ravvedere e quindi si può ottenere il perdono. Considero doveroso fare questo discorso per far capire nella maniera più chiara possibile la netta differenza esistente tra un qualsiasi peccato che definiamo che non mena a morte e il peccato che mena a morte, quanto alla possibilità di ravvedimento e di perdono.

Ÿ Paolo ai Galati scrisse: “Fratelli, quand'anche uno sia stato colto in qualche fallo, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine” (Galati 6:1). E' evidente dunque che se un credente che commette ‘qualche fallo' può essere rialzato, ciò vuol dire che per lui c'è ancora la possibilità di ravvedersi e di essere perdonato dal Signore, ma è altresì evidente quindi che da questi falli è escluso il peccato che mena a morte perché da questo fallo non ci si può più rialzare infatti è impossibile menare a ravvedimento chi commette il peccato che mena a morte. In altre parole perché da questa caduta è impossibile rialzarsi. Quando dunque si legge nei Proverbi che “il giusto cade sette volte e si rialza” (Proverbi 24:16), in quelle cadute non c'è quella costituita dal peccato che mena a morte perché da quest'ultima non ci si può più rialzare.

Ÿ Gesù ha detto: “Badate a voi stessi! Se il tuo fratello pecca, riprendilo; e se si pente, perdonagli. E se ha peccato contro te sette volte al giorno e sette volte torna a te e ti dice: Mi pento, perdonagli” (Luca 17:3,4). Dunque, un fratello che commette un peccato può pentirsi ed essere perdonato. Avrebbe mai detto infatti il Signore di riprendere qualcuno per un peccato da cui non si poteva più pentire? Certamente no. E' evidente allora che anche in questo caso, il fatto che ci sia ancora la possibilità per un fratello di pentirsi e di essere perdonato, sta ad indicare che non tutti i peccati sono a morte ed anche che tra quei peccati che se il fratello commette noi dobbiamo riprenderlo con la speranza che egli si penta e chieda perdono, non c'è assolutamente il peccato che mena a morte perché per chi commette il peccato che mena a morte non c'è più la possibilità di pentirsi e quindi è inutile riprenderlo come anche è inutile pregare per lui.

Ÿ Giovanni dice: “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi” (1 Giovanni 1:9,10). Queste parole dunque ci assicurano che noi possiamo confessare i nostri peccati al Signore con la sicurezza che essi ci verranno immediatamente perdonati, e questo perché noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo il Giusto che è la propiziazione dei nostri peccati. Se questi nostri peccati possiamo dunque ancora confessarli al Signore per ottenere da lui perdono, ciò vuol dire che essi non sono a morte, perché dal peccato che mena a morte non ci si può pentire. La contrizione infatti in quest'ultimo caso, non è più possibile, e quindi non è più possibile confessarlo al Signore. Ancora una volta dunque le Scritture fanno chiaramente capire che non tutti i peccati sono a morte. In verità se tutti i peccati fossero a morte noi non avremmo nessuno scampo e la Scrittura sarebbe annullata perché noi non potremmo neppure confessarli a Dio per ottenerne la remissione; noi non potremmo dire a Dio: “Rimettici i nostri debiti” (Matteo 6:12) il che equivarrebbe a dire che il Signore ci ha ingannati. Ma Dio non ci ha ingannati, Egli infatti è il Verace e il Fedele, e se ha detto che noi quando lo preghiamo dobbiamo dire ‘Rimettici i nostri debiti' ciò vuol dire che egli ha promesso di purificarci dai nostri peccati che commettiamo durante la nostra vita se noi glieli confessiamo, ovviamente ribadisco che tra questi non c'è il peccato che mena a morte. Anche in questo dunque vediamo la giustizia di Dio manifestata. Che ingiustizia sarebbe stata dichiarare ogni peccato a morte! Avrebbe equivalso a farci perdere ogni speranza di perdono da parte di Dio per un qualsiasi peccato da noi commesso. Niente più perdono, niente più ravvedimento, che Dio spietato avremmo avuto! E chi avrebbe mai potuto vivere una vita immune da cadute, immune da sbagli? Nessuno di noi, quindi questo avrebbe equivalso a dire che prima Dio ci perdonava, e poi al primo peccato ci condannava al fuoco eterno!!

Ÿ Giacomo dice: “Fratelli miei, se qualcuno fra voi si svia dalla verità e uno lo converte, sappia colui che chi converte un pecca­tore dall'errore della sua via salverà l'anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati” (Giacomo 5:19,20). Dalle parole dell'apostolo Giacomo si capisce che se un fratello si svia dalla verità può essere convertito, perciò egli può ancora ravvedersi. Quindi non si può dire che se uno si svia dalla verità, dando retta a qualche strana dottrina, ha commesso il peccato che mena a morte e non può più ravvedersi, perché Giacomo ammette la possibilità che egli possa essere salvato dall'errore della sua via e che i suoi peccati gli vengano rimessi. Il punto che vorrei sottolineare è che mentre è possibile menare a ravvedimento un fratello che si svia dalla verità questo non è possibile farlo con chi commette il peccato che mena a morte. Anche Paolo ammette la possibilità che uno che si svia dalla verità possa essere menato a ravvedimento, infatti dopo avere detto a Timoteo che tra quelli che si erano sviati dalla verità vi erano Imeneo e Fileto che dicevano che la risurrezione era già avvenuta, gli disse: “Or il servitore del Signore non deve contendere, ma deve essere mite inverso tutti, atto ad insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli che contraddicono, se mai avvenga che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità; in guisa che, tornati in sé, escano dal laccio del diavo­lo, che li aveva presi prigionieri perché facessero la sua volon­tà” (2 Timoteo 2:24-26). Come potete vedere Paolo afferma che il servo del Signore deve correggere con dolcezza quelli che contraddicono la verità (la contraddicono perché si sono sviati da essa) perché può avvenire che Dio conceda loro di ravvedersi e riconoscere la verità ed uscire così dal laccio del diavolo nel quale sono caduti. Questo invece non può avvenire nel caso un credente commetta il peccato che mena a morte perché è impossibile menarlo da capo a ravvedimento.

Ÿ Gesù Cristo disse all'angelo della chiesa di Tiatiri: “Ma ho questo contro a te: che tu tolleri quella donna Jezabel, che si dice profetessa e insegna e seduce i miei servitori perché com­mettano fornicazione e mangino cose sacrificate agl'idoli. E io le ho dato tempo per ravvedersi, ed ella non vuole ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io getto lei sopra un letto di dolore, e quelli che commettono adulterio con lei in una gran tribolazione, se non si ravvedono delle opere d'essa. E metterò a morte i suoi figliuoli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che investigo le reni ed i cuori” (Apocalisse 2:20-23).

Ora, nella chiesa di Tiatiri vi era una donna di nome Jezabel che seduceva dei servitori di Cristo Gesù affinché questi commettes­sero adulterio con lei e affinché mangiassero cose sacrificate agli idoli (cose condannate dalla legge e che sono peccato). Il Signore fece allora sapere all'angelo della chiesa di Tiatiri che Egli aveva dato del tempo a questa donna per ravvedersi ma ella non voleva ravvedersi e perciò l'avrebbe punita gettandola sopra un letto di dolore e mettendole a morte i suoi figli; il Signore gli disse che anche i suoi servitori sarebbero stati da lui puniti severamente se essi non si fossero ravveduti dalle opere di quella donna. È chiaro dunque che se Jezabel e quei servitori di Gesù Cristo che erano stati da lei sedotti a fare quelle opere malvage avessero commesso il peccato che menava a morte il Signore non gli avrebbe dato del tempo per ravvedersi perché sarebbe stato contraddittorio dato che sappiamo che è impossibile menare di nuovo a ravvedimento coloro che peccano a morte. Anche in questo caso quindi, benché costoro avevano commesso dei peccati, pure rimaneva per loro la possibilità di ravvedersi e di ottenere la remissione dei loro peccati. Queste parole del Signore all'angelo della Chiesa di Tiatiri, che ammettono la possibilità di ravvedersi e di essere perdonati anche per coloro che hanno commesso fornicazione o adulterio, confutano per altro una dottrina che purtroppo esiste in certi ambienti pentecostali, secondo cui il peccato di fornicazione e il peccato di adulterio costituiscono il peccato che mena a morte, o un peccato che non ha remissione in eterno: infatti è evidente, direi molto evidente, che se il Signore ha concesso a Jezabel e a quei suoi servitori il tempo di ravvedersi ciò vuol dire che Egli non li aveva dichiarati spacciati o perduti irrimediabilmente. Per loro agli occhi di Dio, esisteva ancora la possibilità che si ravvedessero e fossero perdonati. E se esiste agli occhi di Dio questa possibilità, chi siamo noi da escludere questa possibilità nel caso un fratello cada in uno di questi peccati?

Ÿ Paolo scrisse ai Corinzi: “Poiché io temo, quando verrò, di trovarvi non quali vorrei, e d'essere io stesso da voi trovato quale non mi vorreste; temo che vi siano tra voi contese, gelo­sie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, tumulti; e che al mio arrivo l'Iddio mio abbia di nuovo ad umiliarmi dinanzi a voi, ed io abbia a piangere molti di quelli che hanno per lo innanzi peccato, e non si sono ravveduti della impurità, della fornicazione, e della dissolutezza a cui si erano dati” (2 Corinzi 12:20,21). Nella chiesa di Corinto vi erano alcuni che si erano dati all'im­purità, alla fornicazione ed alla dissolutezza, che sono tutte opere della carne, e Paolo temeva che quando sarebbe tornato dai Corinzi avrebbe dovuto punire e giudicare costoro che non si erano ravveduti di questi loro peccati. Ma costoro non si erano ravveduti da quei peccati non perché avevano commesso il peccato che mena a morte ed era impossibile menarli di nuovo a ravvedi­mento, ma perché essi stessi non si erano voluti ravvedere. Anche in questo caso quindi vediamo come il Signore dà il tempo di ravvedersi dai propri peccati e che alla fine di questo tempo se vede che non viene il ravvedimento punisce. Il tempo per ravvedersi non viene dato nel caso un credente commette il peccato che mena a morte, perché lo ripeto, da questo peccato è impossibile ravvedersi.

Ulteriori conferme che esiste la possibilità che un credente si tiri indietro e vada in perdizione

Ho dimostrato dunque mediante le Scritture che esiste un peccato che mena a morte che se un credente commette andrà in perdizione perché tramite di esso crocifiggerà di nuovo per conto suo il Figliuolo di Dio, lo esporrà ad infamia, e oltraggerà lo Spirito della grazia con il quale è stato santificato. Ma ho anche dimostrato che non tutti i peccati sono a morte, perché da tutti gli altri peccati è possibile ravvedersi e ottenere il loro perdono. Dunque, la mia posizione è questa: certamente se un credente rimane unito al Signo­re durante tutto il suo cammino cristiano, credendo in lui ed osservando i suoi comandamenti fino alla fine per certo sarà salvato e niente e nessuno potrà separarlo dall'amore di Cristo. Benché egli sbagli in molte cose (chi di noi può dire il contra­rio?) egli alla fine sarà salvato perché avrà serbato la sua fede ed avrà combattuto il buon combattimento fino alla fine. Ma se egli, ad un certo punto della sua vita, getta via la fede che ha nel Signore e smette di osservare i suoi comandamenti, commetten­do il peccato che mena a morte certamente non sarà salvato ma sarà condannato, anche se all'inizio aveva pure lui creduto. Le scritture che ho citato innanzi dall'epistola agli Ebrei lo dicono molto chiaramente tutto ciò. E si badi che non sono le sole scritture che dicono questo. Ce ne sono diverse altre che voglio citarvi e commentare brevemente.

Ÿ Gesù Cristo ha detto: “Io sono la vera vite, e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, Egli lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo rimonda affinché ne dia di più. Voi siete già mondi a motivo della parola che v'ho annunziata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; codesti tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano” (Giovanni 15:1-6).

Ora, Gesù Cristo è la vite e noi che siamo i suoi discepoli siamo i tralci e lui ci ordina di dimorare in lui per portare frutto alla gloria di Dio. Ma che cosa significa dimorare in Lui? Dimo­rare in Lui significa osservare i comandamenti di Dio perché è scritto: “Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Lui, ed Egli in esso” (1 Giovanni 3:24). Quali comandamenti? Giovanni dice che “questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del suo Figliuolo Gesù Cristo, e ci amiamo gli uni gli altri, com'Egli ce ne ha dato il comandamento” (1 Giovanni 3:23), quindi, se noi continuiamo a credere nel nome del Figliuolo di Dio fino alla fine e ad osservare i comandamenti di Dio fino alla fine continueremo a portare frutti di giustizia fino alla fine, rimar­remo attaccati alla vite ed erediteremo così la vita eterna. Ma che cosa avverrà invece se noi cessiamo di credere nel nome del Figlio di Dio e cessiamo di osservare i suoi comandamenti? Succederà che smetteremo di portare frutto e Dio ci getterà via perché non serviremo più a nulla. Gesù ha detto infatti che i tralci che non portano frutto perché non dimorano nella vite “si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano” (Giovanni 15:6), quindi badiamo a noi stessi e dimoriamo nel Signore fino alla fine per non vederci un giorno scaraventati assieme ai peccatori impenitenti nello stagno ardente di fuoco e di zolfo!

Ÿ Paolo ha detto a Timoteo: “Certa è questa parola:... Se lo rinnegheremo, anch'egli ci rinnegherà” (2 Timoteo 2:11,13). Queste parole ci dicono chiaramente che se noi che abbiamo creduto rinneghiamo il Signore e le sue parole in mezzo a questa generazione pure il Signore ci rinnegherà. Questa affermazione di Paolo (notate che Paolo si è incluso, come lo scrittore agli Ebrei che disse: “Se pecchiamo volontariamente...” [Ebrei 10:26]) è in accordo con le parole del Signore Gesù che disse ai suoi discepoli: “Chiunque adunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” (Matteo 10:32,33) ed anche: “Se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figliuol dell'uomo si vergognerà di lui quando sarà venuto nella gloria del Padre suo coi santi angeli” (Marco 8:38). È una cosa molto grave dunque vergognarsi del Signore e delle sue parole in questo mondo; Paolo lo sapeva questo, perciò disse a Timoteo: “Non avere dunque vergogna della testimonianza del Signore nostro” (2 Timoteo 1:8). Diletti, non vergogniamoci del Signore e lui non si vergognerà di noi.

Ÿ Paolo, parlando del nostro innesto nell'ulivo domestico disse ai santi di Roma: “Se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. Vedi dunque la benignità e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; ma verso te la benignità di Dio, se pure tu perseveri nella sua benignità; altrimenti, anche tu sarai reciso” (Romani 11:21,22). Noi sappiamo che i Giudei disubbidienti sono i rami naturali che sono stati troncati dal loro ulivo domestico a cui Paolo fa riferimento. Essi “sono stati troncati per la loro incredulità” (Romani 11:20), perciò non godono le benedi­zioni di Cristo (la sua salvezza, la sua pace, i suoi doni) appunto a motivo della loro incredulità. Noi Gentili che abbiamo creduto invece siamo stati innestati nell'ulivo domestico a motivo della nostra fede e sempre per questa stessa fede sussi­stiamo in questo ulivo. Tutto ciò ci porta a capire la severità di Dio verso quei Giudei che non credono nel suo Figliuolo Gesù Cristo, ma altresì la sua benignità verso noi Gentili che abbiamo creduto. Ma questa sua benignità, Dio continuerà a manifestarla verso noi facendoci dimorare nell'ulivo domestico a condizione che noi serbiamo fino alla fine la fede che avevamo da principio, quando abbiamo creduto, altrimenti anche noi saremo troncati dall'ulivo domestico. Voglio che sap­piate che non si può sussistere nell'ulivo domestico senza fede, quindi coloro che credono per un tempo e poi si traggono indietro vengono recisi dall'ulivo domestico e non possono entrare nel riposo di Dio che Egli ha preparato per coloro che credono. Come gli Israeliti che si ribellarono a Dio nel deserto non poterono entrare nel riposo di Dio a motivo della loro incredulità così anche quelli che un giorno hanno creduto e poi hanno smesso di credere non potranno entrare nel Paradiso di Dio perché se ne andranno in perdizione. La Scrittura dice che “noi che abbiamo creduto entriamo in quel riposo” (Ebrei 4:3), ma essa insegna anche che quelli che credono per un tempo e poi si traggono indietro non vi possono entrare.

A questo punto qualcuno potrebbe dire: ‘Ma tutti questi passi da te citati sono solo dei passi che ipotizzano qualcosa, e non stanno ad indicare che in effetti esistono dei credenti che dopo un certo tempo si tirano indietro e vanno in perdizione!' Come dire insomma: ‘Guarda che questi passi costituiscono un severo monito, ma in effetti nessuno si tira indietro!' Al che io vi rispondo in questa maniera, non è affatto così come dite voi, sbagliate grandemente nel dire una simile cosa perché sempre le Scritture dicono chiaramente che esistono casi di credenti che rinnegano il Signore e vanno in perdizione. Per esempio lo scrittore agli Ebrei dice: “Ma noi non siamo di quelli che si traggono indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per salvare l'anima” (Ebrei 10:39). Riconoscete dunque che non solo esiste la possibilità di perdere la salvezza, ma esistono pure coloro che la buttano via andando così in perdizione. Ma ditemi un po', pensate voi che lo scrittore avrebbe parlato di ‘quelli che si traggono indietro a loro perdizione' se non ci fossero stati dei casi di credenti che si erano tirati indietro già allora? Se io per esempio dico: ‘Ma noi non siamo di quelli che hanno l'animo alle cose della terra, ma di quelli che hanno l'animo alle cose di lassù' che cosa voglio dire se non che esistono sia quelli che hanno l'animo alle cose di questa terra che quelli che hanno l'animo alle cose di lassù e che noi non siamo tra i primi ma tra i secondi?' Dunque se lo scrittore agli Ebrei non si include tra quelli che si tiravano indietro ma si metteva tra quelli che avevano fede per salvare l'anima, ciò vuol dire che ai suoi giorni esistevano sia i credenti che si tiravano indietro a loro perdizione che quelli che perseverano fino alla fine per salvare la loro anima. Le cose sono molto chiare, o no? Per altro non ci si dovrebbe per nulla meravigliare dell'esistenza di questi credenti che si tirano indietro a loro perdizione, perché ciò che costoro fanno a danno della loro anima non è nient'altro che l'adempimento di alcune parole del Signore pronunciate quando spiegò la parabola del seminatore. Parlando infatti delle varie parti di semenze, disse “E un'altra cadde ne' luoghi rocciosi ove non avea molta terra; e subito spuntò, perché non avea terreno profondo; ma, levatosi il sole, fu riarsa; e perché non avea radice, si seccò” (Matteo 13:5-6), e quando spiegò il significato di queste parole disse: “E quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando hanno udito la Parola, la ricevono con allegrezza; ma costoro non hanno radice, credono per un tempo, e quando viene la prova, si traggono indie­tro” (Luca 8:13). Come potete vedere quelli che ricevono la buona semenza in luoghi rocciosi sono coloro che odono la Parola e la ricevono subito con allegrezza credendo in essa, però non perseverano fino alla fine nella fede perché quando arriva la persecuzione a motivo della Parola si tirano indietro. È detto chiaramente di loro che credono per un tempo e si tirano indietro. Non ha forse detto il Signore: “Il mio giusto vivrà per fede; e se si tira indietro, l'anima mia non lo gradisce” (Ebrei 10:38)? quindi coloro che si tirano indietro cessano di essere graditi al Signore perché cessano di credere in Dio. E come potrebbe continuare a piacere a Dio un uomo che smette di avere fede in Dio quando la Scrittura dice che “senza fede è impossibile piacergli” (Ebrei 11:6)? Ma avevano creduto veramente un giorno costoro? Ma certo, se Gesù ha detto che ‘credono per un tempo' vuol dire che avevano creduto, e se avevano creduto avevano accettato il Vangelo della grazia di Dio ed erano stati salvati anche loro. O vogliamo dare un altro significato alle parole del Maestro? Ma se quella parte di semenza era spuntata, o era nata, evidentemente un inizio c'era stato, non vi pare? E poi perché mai Gesù avrebbe parlato di prova e di persecuzione, se si fosse trattato di persone che non avevano veramente creduto? E poi perché avrebbe dovuto dire di costoro che si tirano indietro, se non avevano mai cominciato a camminare? Se io sto fermo, e non mi muovo, cioè se io non prendo la strada maestra che mi è indicata dal Vangelo di Dio, come posso tirarmi indietro? Dunque quelli che si tirano indietro a loro perdizione sono quelli che credono per un tempo, e quando viene la prova o la persecuzione rinnegano il Signore, commettono il peccato che mena a morte, per loro c'è la perdizione, il fuoco eterno. Hanno rinnegato il Signore, e il Signore rinnegherà loro. Si sono vergognati del Signore, e il Signore si vergognerà di loro. Tra quelli che credono per un tempo e poi vanno in perdizione ci possiamo mettere tranquillamente anche coloro che apostatano dalla fede secondo che è scritto: “ Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demonî per via della ipocrisia di uomini che proferiranno menzogna, segnati di un marchio nella loro propria coscienza; i quali vieteranno il matrimonio e ordineranno l'astensione da cibi che Dio ha creati affinché quelli che credono e hanno ben conosciuta la verità, ne usino con rendimento di grazie. Poiché tutto quel che Dio ha creato è buono; e nulla è da riprovare, se usato con rendimento di grazie; perché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera” (1 Timoteo 4:1-5). Come potete vedere il fatto che venga detto che costoro apostateranno dalla fede sta ad indicare che un giorno costoro avevano la fede, perché non si può abbandonare qualcosa prima di possederla, non si può perdere qualcosa prima di averla trovata, non si può lasciare una strada se prima non ci si trovava su questa strada. D'altronde, che sia così, è confermato dal fatto che queste parole di Paolo vengono subito dopo queste altre: “E, senza contraddizione, grande è il mistero della pietà: Colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra i Gentili, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria” (1 Timoteo 3:16), in cui come si può constatare egli parla del fatto che il Figliuol di Dio è stato creduto nel mondo, quindi del fatto che una parte del mondo ha creduto nel Signore. Quindi Paolo prima dice che Colui che è stato manifestato in carne è stato creduto nel mondo, e subito dopo dice ‘MA lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede', il che significa che alcuni di quelli che avevano creduto avrebbero rinnegato la loro fede, l'avrebbero abbandonata. Che senso avrebbe altrimenti quel MA posto proprio subito dopo quel discorso? E' chiaro infatti che quel MA sta ad indicare un qualcosa di opposto a quello poco prima detto. Paolo è come se avesse detto che alcuni di quelli che avevano creduto poi avrebbero smesso di credere.

Una ulteriore conferma scritturale dell'esistenza di persone che un giorno hanno creduto e poi rinnegano il Signore a loro perdizione, è quella che riguarda i falsi dottori che Pietro dice saranno nel nostro mezzo. Ecco infatti quello che dice l'apostolo Pietro di costoro: “Ma sorsero anche falsi profeti fra il popolo, come ci saranno anche fra voi falsi dottori che introdurranno di soppiatto eresie di perdizione, e, rinnegando il Signore che li ha riscattati, si trarranno addosso subita rovina. E molti seguiranno le loro lascivie; e a cagion loro la via della verità sarà diffamata. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole finte; il loro giudicio già da tempo è all'opera, e la loro ruina non sonnecchia. Perché se Dio non risparmiò gli angeli che aveano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi per esservi custoditi pel giudizio; e se non risparmiò il mondo antico ma salvò Noè predicator di giustizia, con sette altri, quando fece venire il diluvio sul mondo degli empi; e se, riducendo in cenere le città di Sodoma e Gomorra, le condannò alla distruzione perché servissero d'esempio a quelli che in avvenire vivrebbero empiamente; e se salvò il giusto Lot che era contristato dalla lasciva condotta degli scellerati (perché quel giusto, che abitava fra loro, per quanto vedeva e udiva si tormentava ogni giorno l'anima giusta a motivo delle loro inique opere), il Signore sa trarre i pii dalla tentazione e riserbare gli ingiusti ad esser puniti nel giorno del giudizio; e massimamente quelli che van dietro alla carne nelle immonde concupiscenze, e sprezzano l'autorità. Audaci, arroganti, non hanno orrore di dir male delle dignità; mentre gli angeli, benché maggiori di loro per forza e potenza, non portano contro ad esse, dinanzi al Signore, alcun giudizio maldicente. Ma costoro, come bruti senza ragione, nati alla vita animale per esser presi e distrutti, dicendo male di quel che ignorano, periranno per la loro propria corruzione, ricevendo il salario della loro iniquità. Essi trovano il loro piacere nel gozzovigliare in pieno giorno; son macchie e vergogne, godendo dei loro inganni mentre partecipano ai vostri conviti; hanno occhi pieni d'adulterio e che non possono smetter di peccare; adescano le anime instabili; hanno il cuore esercitato alla cupidigia; son figliuoli di maledizione. Lasciata la diritta strada, si sono smarriti, seguendo la via di Balaam, figliuolo di Beor, che amò il salario d'iniquità, ma fu ripreso per la sua prevaricazione: un'asina muta, parlando con voce umana, represse la follia del profeta. Costoro son fonti senz'acqua, e nuvole sospinte dal turbine; a loro è riserbata la caligine delle tenebre. Perché, con discorsi pomposi e vacui, adescano con le concupiscenze carnali e le lascivie quelli che si erano già un poco allontanati da coloro che vivono nell'errore, promettendo loro la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione; giacché uno diventa schiavo di ciò che l'ha vinto. Poiché, se dopo esser fuggiti dalle contaminazioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, si lascian di nuovo avviluppare in quelle e vincere, la loro condizione ultima diventa peggiore della prima. Perché meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuta la via della giustizia, che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo comandamento ch'era loro stato dato. È avvenuto di loro quel che dice con verità il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito, e: La troia lavata è tornata a voltolarsi nel fango” (2 Pietro 2:1-22). Ora, come potete vedere di questi empi viene detto che hanno rinnegato il Signore che li ha riscattati, hanno lasciato la diritta strada e si sono smarriti, che un giorno erano fuggiti dalle contaminazioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù, che avevano conosciuto la via della giustizia ma dopo hanno voltato le spalle al santo comandamento che era loro stato dato. Ora, io domando, non sono sufficientemente chiare queste espressioni? Non fanno forse capire queste scritture che costoro un giorno avevano veramente creduto come noi? Certo, infatti non si può rinnegare il Signore che ci ha riscattati se non dopo averlo accettato, non si può lasciare la diritta strada se prima non ci si trovava sopra a camminare, e non si può fuggire dalle contaminazioni del mondo se non mediante la fede in Cristo, e non si può conoscere la via della giustizia se non si crede nel Signore. Ma entriamo nello specifico di queste caratteristiche. Hanno rinnegato il Signore che li ha riscattati ; dunque anche costoro erano tra coloro a cui Pietro dice: “Non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come d'agnello senza difetto né macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per voi, i quali per mezzo di lui credete in Dio che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, onde la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio” (1 Pietro 1:18-21). Notate che di quelli che sono stati riscattati viene detto che per mezzo di Cristo hanno creduto in Dio. Dunque anche i falsi dottori un giorno avevano creduto perché erano stati riscattati dal Signore con il suo prezioso sangue. Hanno lasciato la diritta strada e si sono smarriti ; qual è questa diritta strada se non la via santa di cui parla il profeta Isaia secondo che è scritto: “Quivi sarà una strada maestra, una via che sarà chiamata ‘la via santa'; nessun impuro vi passerà; essa sarà per quelli soltanto; quei che la seguiranno, anche gl'insensati, non potranno smarrirvisi. In quella via non ci saranno leoni; nessuna bestia feroce vi metterà piede o vi apparirà; ma vi cammineranno i redenti; e i riscattati dall'Eterno torneranno, verranno a Sion con canti di gioia; un'allegrezza eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia, e il dolore ed il gemito fuggiranno” (Isaia 35:8-10). Si noti come questa strada è quella in cui camminano i riscattati dal Signore, quindi coloro che per mezzo di Cristo hanno creduto in Dio. Erano fuggiti dalle contaminazione del mondo mediante la conoscenza di Cristo ma poi si sono lasciati di nuovo avvolgere in quelle concupiscenze ; la Scrittura dice a noi credenti che per mezzo delle preziose e grandissime promesse del Signore noi siamo stati “fatti partecipi della natura divina dopo esser fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza” (2 Pietro 1:4) e per questa stessa ragione noi dobbiamo aggiungere alla nostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza e così via altre cose molto importanti, quindi anche quei falsi dottori a cui è riserbata la caligine in eterno un giorno erano dei figli di Dio mediante la loro fede in Cristo. Hanno conosciuto la via della giustizia ma poi hanno voltato le spalle al santo comandamento datogli : la via della giustizia è quella in cui camminò anche Giovanni il Battista che aveva creduto che Gesù di Nazaret era il Messia, Gesù infatti disse di questo uomo che era venuto “per la via della giustizia” (Matteo 21:32), quindi anche questi falsi dottori un giorno avevano creduto nel Cristo di Dio ma poi hanno voltato le spalle al comandamento santo che dice di credere nel nome del Figliuol di Dio (1 Giovanni 3:23).

E che dire poi dell'esempio di Giuda? Non è forse anch'esso un chiaro esempio di un credente che poi ha abbandonato il Signore ed è andato in perdizione? Certo. Infatti Gesù nella notte che fu tradito, mentre pregava al Padre gli disse: “Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e niuno di loro è perito, tranne il figliuol di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta” (Giovanni 17:12) Giuda dunque era stato tra quelli che Dio aveva dato al Figliuolo, solo però che un giorno tradì il Maestro affinchè le Scritture fossero adempiute e andò in perdizione.

Alla luce dunque di tutte queste Scritture, non si possono non rigettare tutti quei ragionamenti che tendono a fare credere che coloro che poi rinnegano il Signore, o si tirano indietro, non avevano veramente creduto. Per altro questo modo di ragionare induce a pensare che alla fin fine noi non possiamo essere sicuri che chi ci dice che ha creduto abbia veramente creduto. Chi mi dice infatti che costui persevererà fino alla fine? E già perché se un fratello mi dice che ha creduto, gioisce della sua salvezza, soffre a motivo del Vangelo, e poi magari un giorno rinnega il Signore, questo vorrebbe dire che lui non aveva veramente creduto!!! Ma in questa maniera non saremmo più in grado di distinguere tra un credente e un incredulo, e mi devo guardare dal dire che uno ha veramente creduto perché un giorno potrei essere smentito dal fatto che rinnega il Signore. No, non è così come dicono costoro. Ora, io sono d'accordo nel dire che ci sono falsi fratelli, cioè persone che dicono di avere creduto ma in effetti non hanno creduto, ma costoro sono facilmente individuabili, si possono capire chi sono, basta domandare loro se hanno la certezza della loro salvezza, del perdono dei loro peccati, ecc. per cui è evidente che se costoro abbandonano la comune adunanza e aderiscono ad una setta di loro si può ben dire che in effetti non avevano mai realmente creduto; ma non in tutti i casi è così, perché ci sono dei casi di veri credenti che abbandonano la comune adunanza e rinnegano il Signore che li ha riscattati. In verità il ragionamento di questi credenti è un sotterfugio. Ma allora cosa dovremmo dire di tutti quegli Israeliti che uscirono dall'Egitto e che non entrarono nella terra promessa a motivo della loro incredulità? Che non erano usciti mai dall'Egitto? O magari che non avevano mai creduto in Dio e nel suo servo Mosè? Ma non è forse scritto che coloro che dopo averlo udito lo provocarono furono proprio tutti quelli che uscirono dall'Egitto? E non è forse scritto che dopo che Dio divise il Mar Rosso che il popolo “temette l'Eterno, e credette nell'Eterno e in Mosè suo servo” (Esodo 14:31)? Dunque gli Israeliti inizialmente avevano creduto, ma poi fecero posto nel loro cuore all'incredulità e si ribellarono a Dio che giurò di non farli entrare nella terra promessa ma di farli perire nel deserto. E questo esempio di incredulità viene preso proprio dallo Scrittore agli Ebrei per metterci in guardia dall'incredulità proprio a noi che abbiamo creduto nel principio in Cristo. Ascoltate quello che la Scrittura dice: “Guardate, fratelli, che talora non si trovi in alcuno di voi un malvagio cuore incredulo, che vi porti a ritrarvi dall'Iddio vivente; ma esortatevi gli uni gli altri tutti i giorni, finché si può dire: ‘Oggi', onde nessuno di voi sia indurato per inganno del peccato; poiché siam diventati partecipi di Cristo, a condizione che riteniam ferma sino alla fine la fiducia che avevamo da principio, mentre ci vien detto: Oggi, se udite la sua voce, non indurate i vostri cuori, come nel dì della provocazione. Infatti, chi furon quelli che dopo averlo udito lo provocarono? Non furon forse tutti quelli ch'erano usciti dall'Egitto, condotti da Mosè? E chi furon quelli di cui si disgustò durante quarant'anni? Non furon essi quelli che peccarono, i cui cadaveri caddero nel deserto? E a chi giurò Egli che non entrerebbero nel suo riposo, se non a quelli che furon disubbidienti? E noi vediamo che non vi poterono entrare a motivo dell'incredulità. Temiamo dunque che talora, rimanendo una promessa d'entrare nel suo riposo, alcuno di voi non appaia esser rimasto indietro. Poiché a noi come a loro è stata annunziata una buona novella; ma la parola udita non giovò loro nulla non essendo stata assimilata per fede da quelli che l'avevano udita. Poiché noi che abbiam creduto entriamo in quel riposo, siccome Egli ha detto: Talché giurai nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo! e così disse, benché le sue opere fossero terminate fin dalla fondazione del mondo. Perché in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, è detto così: E Dio si riposò il settimo giorno da tutte le sue opere; e in questo passo di nuovo: Non entreranno nel mio riposo! Poiché dunque è riserbato ad alcuni d'entrarvi e quelli ai quali la buona novella fu prima annunziata non v'entrarono a motivo della loro disubbidienza, Egli determina di nuovo un giorno «Oggi» dicendo nei Salmi, dopo lungo tempo, come s'è detto dianzi: Oggi, se udite la sua voce, non indurate i vostri cuori! Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Iddio non avrebbe di poi parlato d'un altro giorno. Resta dunque un riposo di sabato per il popolo di Dio; poiché chi entra nel riposo di Lui si riposa anch'egli dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue. Studiamoci dunque d'entrare in quel riposo, onde nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza” (Ebrei 3:12-19; 4:1-11). Se quindi Dio ci ammonisce a noi credenti, e ci mette in guardia dal tirarci indietro, guarda caso proprio con il cattivo esempio degli Israeliti, vuol dire che c'è una certa analogia tra l'incredulità degli Israeliti e quella eventuale di un credente, non vi pare? Perché mai dire infatti di stare attenti a non seguire lo stesso esempio di disubbidienza, ma di avere fede fino alla fine, se anche gli Israeliti inizialmente non avevano creduto in Dio e nel suo servo Mosè? In verità quest'ammonizione non avrebbe senso se non ci fosse l'eventualità che uno che ha veramente creduto vada poi in perdizione a motivo della sua incredulità!!! Giudicate da voi stessi. Ma che dire poi della moglie di Lot di cui Gesù disse che ci dobbiamo ricordare (cfr. Luca 17:32)? Aveva sì o no creduto agli angeli ed era stata anche lei salvata dalla distruzione di Sodoma? A me pare di sì. Solo che dopo che uscì dalla città disubbidì all'ordine del Signore di non voltarsi, e per questo divenne una statua di sale, ma era uscita anche lei con Lot da Sodoma. Dunque anche la moglie di Lot è un esempio di disubbidienza che noi credenti non dobbiamo seguire.

Risposte ad alcune obbiezioni

Tutti coloro che insegnano che il credente non corre in nessuna maniera un vero rischio di perdere la salvezza, quando devono spiegare certi passaggi da me citati dicono delle cose veramente assurde. Ho già accennato a cosa dicono in precedenza ma qui voglio entrare nello specifico per farvi capire per l'ennesima volta come ogni volta che non si taglia rettamente la Parola di Dio si rimane confusi.

Sui passi di Ebrei capitoli 6 e 10 dicono che qui il ‘se cadono' e il ‘se pecchiamo volontariamente' non vogliono dire che queste cose possono succedere: ‘Se leggerete con cura i due passi citati nella lettera agli Ebrei, cioè 6:1-6 e 10:26-29, vi renderete conto che l'argomento tratta un caso solo prospettato teoricamente espresso con ‘se cadono' (6:6) e ‘se pecchiamo' (10:26). Non si tratta di casi effettivamente avvenuti. Anzi, in questo tipo di ragionamento, che presenta solo un problema teorico, il ‘se' non afferma affatto che una tale cosa sia mai successa o che possa mai succedere' (Voce del Vangelo, Luglio 1994, n° 7, pag. 8).

Rispondo in questa maniera, come mai dovremmo credere che una simile cosa non possa mai succedere? Ma allora, se la regola vale per questi ‘se' allora deve valere per altri ‘se' che troviamo nelle Scritture. Per esempio Paolo dice ai Corinzi: “Ma se alcuno crede far cosa indecorosa verso la propria figliuola nubile s'ella passi il fior dell'età, e se così bisogna fare, faccia quello che vuole; egli non pecca; la dia a marito” (1 Corinzi 7:36). Cosa dobbiamo intendere? Che lui prospetta solo in via teorica che un padre non voglia serbare la propria figlia vergine perché pensa che sia una cosa indecorosa non darla a marito dopo che ha passato il fiore dell'età? Ma a me non pare, infatti ci sono molti padri che credono di fare una cosa indecorosa verso la propria figlia nubile non dandola a marito, e proprio per questa ragione le permettono di sposarsi. E che dire poi delle seguenti parole di Giacomo: “Fratelli miei, se qualcuno fra voi si svia dalla verità e uno lo converte, sappia colui che chi converte un peccatore dall'error della sua via salverà l'anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati” (Giacomo 5:19-20)? Diremo che una tale cosa è prospettata solo in via teorica ma che non può succedere o che non sia mai successa? Ma a me non pare che una simile cosa non sia mai successa, infatti so di fratelli che si erano sviati dalla verità ma poi qualcuno li ha convertiti. E che dire poi di queste parole di Giovanni: “Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non meni a morte, pregherà, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono peccato che non meni a morte” (1 Giovanni 5:16)? Dobbiamo anche qui intendere che il vedere un fratello commettere un peccato che non mena a morte, sia una cosa prospettata solo in via teorica ma che in realtà non è mai successa o non può mai succedere? E come si fa a dire una simile cosa con tutti i casi di fratelli che noi vediamo commettere peccati che non menano a morte? Ma potrei proseguire citando altre decine di ‘se' presenti nel Nuovo Testamento e dimostrarvi che ragionando in questa maniera sbagliate grandemente.

Sempre sui passi di Ebrei 6:4-10 e 10:26-29, viene adottato un altro sotterfugio, viene detto che in effetti questi ammonimenti sono rivolti a delle persone che non sono mai nate di nuovo, cioè a degli increduli: ‘Concludiamo, dunque, nell'affermare che i brani esortativi sopra considerati non insegnano che il credente corra il pericolo di perdere la salvezza. Essi insegnano piuttosto che quanti sono religiosi corrono il pericolo di non giungere alla salvezza per mancanza di una fede incondizionata in Cristo' (Lux Biblica, Roma 1992, n° 6, pag. 59). In particolare ascoltate queste parole conclusive di commento ai passi di Ebrei 6: ‘Se, nonostante simili vantaggi, queste persone non avessero riconosciuto Gesù come Cristo e non avessero creduto in Lui, dovevano sapere che era impossibile per loro essere ‘rinnovati da capo al ravvedimento'. Infatti, un simile rifiuto di credere di fronte alla benignità di Dio che trae al ravvedimento (Ro 2:4), era paragonabile all'azione dei loro capi quando chiesero a Pilato di crocifiggere Gesù' (Lux Biblica, pag. 57), e in riferimento alle parole di Ebrei 10 si legge: ‘Per un tale peccatore era inutile cercare di salvarsi ripiegando sui sacrifici della Legge …. Inoltre, il peccato volontario a cui si fa riferimento qui equivaleva a rifiutare la grazia di Dio …. Rifiutare la grazia di Dio equivaleva a calpestare la Persona del Figlio di Dio …. (pag. 57,58).

Al che io rispondo, come si fa a dire simili assurdità quando sia al capitolo 6 che al capitolo 10 è chiaramente fatto capire che il riferimento è a dei veri Cristiani? Si rimane veramente stupefatti. Ho già dimostrato che questi passi si riferiscono a dei veri credenti, comunque voglio tornarci sopra a questo argomento perché è uno dei ‘cavalli di battaglia' di costoro, ma devo dire che si tratta dell'ennesimo cavallo di battaglia perdente e non vincente e questo perché le Scritture vengono interpretate malamente. Ora, come si fa a dire che delle persone che hanno gustato il dono celeste non sono dei figli di Dio? Ma allora quando l'apostolo Pietro dice nella sua prima epistola: “Gettando dunque lungi da voi ogni malizia, e ogni frode, e le ipocrisie, e le invidie, ed ogni sorta di maldicenze, come bambini pur ora nati, appetite il puro latte spirituale, onde per esso cresciate per la salvezza, se pure avete gustato che il Signore è buono” (1 Pietro 2:1-3), a chi si riferiva? A dei credenti o a dei non credenti, dato che dice loro ‘se pure avete gustato che il Signore è buono'? Voi mi direte: ‘A dei credenti, perché poco prima dice che essi avevano creduto in Dio (cfr. 1:21), li paragona a dei bambini appena nati' Bene, quindi sono dei credenti che hanno gustato la benignità di Dio, ossia che hanno sperimentato la benignità di Dio; in che maniera? Ottenendo il perdono dei loro peccati perché Paolo dice ai santi di Efeso: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore del quale ci ha amati, anche quand'eravamo morti nei falli, ci ha vivificati con Cristo (egli è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere ne' luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età a venire l'immensa ricchezza della sua grazia, nella benignità ch'Egli ha avuta per noi in Cristo Gesù” (Efesini 2:4-7). Come mai allora nel caso di quei passi agli Ebrei il gustare il dono celeste non equivale ad avere sperimentato l'ottenimento della vita eterna, quando noi sappiamo che il dono di Dio in Cristo Gesù è la vita eterna? Voi forse direte che è scritto solo gustare, quindi costoro hanno assaggiato ma non hanno mangiato appieno il dono celeste. Ma questo è un sofisma perchè ho già detto poco fa che i credenti a cui Pietro ha scritto avevano gustato la bontà di Dio. Ma poi non si capisce proprio come delle persone incredule possano assaggiare o gustare il dono celeste, ma io so che il dono celeste o lo si ha o non lo si ha, non è che c'è una via di mezzo. O lo si è gustato quindi o non lo si è gustato. Se lo si è gustato si è salvati, se non lo si è gustato si è ancora perduti; è come dire, o si è nelle luce o nelle tenebre. Dunque il fatto che di costoro viene detto che hanno gustato il dono celeste vuol dire che essi avevano sperimentato spiritualmente parlando il sapore del dono della vita eterna come lo abbiamo sperimentato noi. Non lo abbiamo forse anche noi gustato il dono celeste? Io l'ho gustato. Ed un'altra cosa, come si fa a dire che costoro non sono dei veri credenti quando di loro viene detto che sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo? Ascoltate, nelle Scritture del Nuovo Patto varie volte è detto che i santi sono partecipi o sono diventati o fatti partecipi di qualcosa. Per esempio l'apostolo Pietro dice: “Poiché la sua potenza divina ci ha donate tutte le cose che appartengono alla vita e alla pietà mediante la conoscenza di Colui che ci ha chiamati mercé la propria gloria e virtù, per le quali Egli ci ha largito le sue preziose e grandissime promesse onde per loro mezzo voi foste fatti partecipi della natura divina dopo esser fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza, voi, per questa stessa ragione, mettendo in ciò dal canto vostro ogni premura, aggiungete alla fede vostra la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza la continenza; alla continenza la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l'amor fraterno; e all'amor fraterno la carità” (2 Pietro 1:3-7). Che cosa significa quell'essere stati fatti partecipi della natura divina se non che ora in Cristo partecipiamo alla natura di Dio, non nel senso naturalmente che siamo diventati Dio, ma nel senso che noi siamo diventati o siamo stati fatti figli di Dio? Un altro esempio: lo scrittore agli Ebrei credenti dice: “Siam diventati partecipi di Cristo, a condizione che riteniam ferma sino alla fine la fiducia che avevamo da principio” (Ebrei 3:14), che cosa significa quell'essere diventati partecipi di Cristo se non che noi per mezzo della fede in Cristo abbiamo permesso a Cristo di venire a dimorare nel nostro cuore (cfr. Colossesi 1:27; Efesini 3:17) ed anche che le nostre membra sempre mediante la fede in Cristo sono diventate membra di Cristo secondo che è scritto: “Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? Torrò io dunque le membra di Cristo per farne membra d'una meretrice? Così non sia” (1 Corinzi 6:15)? Dunque, quando agli Ebrei si legge che costoro sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo non può non voler dire che essi avevano ricevuto lo Spirito Santo e quindi che erano dei figli di Dio perché lo Spirito attesta con il nostro spirito che noi siamo figli di Dio secondo che è scritto: “Poiché voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricader nella paura; ma avete ricevuto lo spirito d'adozione, per il quale gridiamo: Abba! Padre! Lo Spirito stesso attesta insieme col nostro spirito, che siamo figliuoli di Dio; e se siamo figliuoli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con lui” (Romani 8:15-17) e che quindi il loro corpo è diventato il tempio dello Spirito Santo. E' dunque una follia affermare che delle persone che non hanno mai sperimentato la rigenerazione possono essere state rese partecipi dello Spirito Santo: dire una simile cosa va apertamente contro l'insegnamento della Scrittura e per altro vuol anche significare fare dire alla lingua italiana quello che si vuole.

Veniamo adesso all'altro passo degli Ebrei, quello del capitolo 10; anche qui non si può dire che le parole si riferiscano a delle persone mai convertite o mai rigenerate perché innanzi tutto lo scrittore dice che se pecchiamo volontariamente dopo avere ricevuto la conoscenza della verità, il che lascia chiaramente intendere che si tratta di un peccato che si può commettere dopo avere conosciuto la verità. Può una persona non rigenerata conoscere la verità? A me non pare. Sarebbe come dire che una persona perduta può rimanere perduta e conoscere Dio. Ora, se Gesù Cristo è la verità, e conoscere la verità equivale a conoscere Gesù Cristo, come si fa a dire che una persona non rigenerata conosca la verità? A me non pare che si possa conoscere Cristo senza essere nati di nuovo! Si può avere sentito parlare di Cristo, si può aver sentito parlare della verità, ma altra cosa è conoscere Cristo, altra cosa è conoscere la verità. Conoscere Cristo, conoscere la verità, implica per forza di cose una esperienza rigeneratrice, perché se uno è in Cristo, e quindi nella verità, è una nuova creatura; non può più essere la stessa persona di prima. Quindi l'avere ricevuto la conoscenza della verità per forza di cose vuole dire che la persona ha veramente creduto ed è stata salvata. Quando per esempio l'apostolo Paolo dice che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2:4) mette la conoscenza della verità con la salvezza, per cui quando si viene salvati si viene alla conoscenza della verità. E quando sempre Paolo dice che alcuni ordineranno l'astensione di alcuni cibi dice anche “affinché quelli che credono e hanno ben conosciuta la verità, ne usino con rendimento di grazie” (1 Timoteo 4:3), come potete vedere l'apostolo mette la fede in relazione con la conoscenza della verità. Il che conferma quanto aveva detto poco prima. Basterebbe solo questa spiegazione per fare capire l'errore di questi fratelli. Ma voglio pure soffermarmi su un altro passo, e cioè quello in cui viene detto che chi pecca volontariamente dopo avere ricevuto la conoscenza della verità, tiene per profano il sangue del patto con il quale è stato santificato (10:29). Ora, se viene detto che questa persona se commette quel peccato terrà per profano il sangue del patto con il quale è stata santificata, ciò vuol dire che questa persona era stata santificata con il sangue di Cristo, perché il sangue del patto è proprio il sangue di Cristo infatti Gesù nella notte in cui fu tradito disse: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per la remissione dei peccati” (Matteo 26:28). E se questa persona era stata santificata con quel sangue, ciò vuol dire che era stata salvata. Perché dico questo? Perché Paolo quando parla ai santi di Corinto dice loro: “Non sapete voi che gli ingiusti non erederanno il regno di Dio? Non v'illudete; né i fornicatori, né gl'idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriachi, né gli oltraggiatori, né i rapaci erederanno il regno di Dio. E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito dell'Iddio nostro” (1 Corinzi 6:9-11), e perché lo scrittore agli Ebrei dice: “In virtù di questa «volontà» noi siamo stati santificati, mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. E mentre ogni sacerdote è in piè ogni giorno ministrando e offrendo spesse volte gli stessi sacrificî che non possono mai togliere i peccati, questi, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è posto a sedere alla destra di Dio, aspettando solo più che i suoi nemici sian ridotti ad essere lo sgabello dei suoi piedi. Perché con un'unica offerta egli ha per sempre resi perfetti quelli che son santificati. E anche lo Spirito Santo ce ne rende testimonianza. Infatti, dopo aver detto: Questo è il patto che farò con loro dopo que' giorni, dice il Signore: Io metterò le mie leggi ne' loro cuori, e le scriverò nelle loro menti, egli aggiunge: E non mi ricorderò più de' loro peccati e delle loro iniquità” (Ebrei 10:10-17). Come si può vedere l'essere stati santificati significa essere stati resi nuovi in Cristo, perfetti quanto alla coscienza perchè i nostri peccati sono stati rimessi, e tutto questo perché mediante la fede nel sangue di Cristo noi siamo stati santificati proprio mediante questo sangue prezioso. Dunque, non si può non dire che quel ‘se pecchiamo volontariamente' si riferisce a persone che hanno veramente creduto.

Conclusione

Fratelli, la Parola di Dio non ci lusinga; essa non ci induce affatto a pensare che anche se trascuriamo questa grande salvezza alla fine Dio avrà misericordia di noi, perché essa dice: “Biso­gna che ci atteniamo vie più alle cose udite, che talora non siamo portati via lungi da esse. Perché, se la parola pronunziata per mezzo d'angeli si dimostrò ferma, e ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione, come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza?” (Ebrei 2:1-3) ed ancora: “Guarda­te di non rifiutare Colui che parla; perché, se quelli non scam­parono quando rifiutarono Colui che rivelava loro in terra la sua volontà, molto meno scamperemo noi se voltiamo le spalle a Colui che parla dal cielo” (Ebrei 12:25).

Vi è una parola d'esortazione nella Scrittura che ci dice di badare bene che nessuno di noi resti privo della grazia di Dio e che nessuno di noi sia “profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura” (Ebrei 12:16) il quale, “anche quando più tardi volle eredare la benedizione fu respinto, perché non trovò luogo a pentimento, sebbene la richiedesse con lagrime” (Ebrei 12:17). Ora, voi sapete che Esaù vendette la sua primogenitura a Giacobbe per una minestra di lenticchie. Considerate che il diritto di primogenitura sotto l'antico patto permetteva al primogenito di ereditare dal padre una parte doppia di tutto quello che egli possedeva, quindi non era una cosa da nulla il diritto di primo­genitura che possedeva Esaù. Ma che fece egli? Sprezzò la sua preziosa primogenitura vendendola a Giacobbe per una minestra di lenticchie. È proprio vera la parola che dice che “per un pezzo di pane l'uomo talvolta diventa trasgressore” (Proverbi 28:21), infatti è scritto che “Giacobbe diede a Esaù del pane e della minestra di lentic­chie” (Genesi 25:34) in cambio della sua primogenitura, quindi Esaù si rese colpevole anche per un pezzo di pane.

Fratelli, guardiamoci dallo sprezzare il diritto di essere chia­mati figliuoli di Dio per volgerci ai piaceri del peccato che il diavolo tramite questo mondo malvagio ci offre del continuo (volendoci fare credere che per le cose di questo mondo vale la pena voltare le spalle al nostro Signore e trascurare questa così grande salvezza), perché se lo sprezziamo diventeremo dei profani come Esaù e non erediteremo di certo il Regno di Dio e la benedi­zione di Dio, perché ce ne andremo diritti nel fuoco che non si spegne, in quel fuoco che è destinato agli empi dove c'è “il pianto e lo stridor dei denti” (Matteo 25:30). Buttare via ciò che di più pre­zioso esiste nell'intero creato e che ci è stato acquistato dal Figliuolo di Dio con il suo sangue, cioè la salvezza eterna, è follia e coloro che lo hanno fatto mietono tuttora i tormenti che questa folle decisione fa mietere a coloro che la prendono, infatti sono nell'Ades a piangere ed a stridere i denti senza un goccio d'acqua per dissetarsi e senza nessuno che possa lenire i loro dolori od asciugare le loro lacrime. Le lacrime che essi versano possono essere paragonate alle lacrime che Esaù versò quando volle ereditare la benedizione di Isacco; quelle furono lacrime versate senza pentimento che non commossero Isacco e non lo indussero a benedire Esaù. Così nella stessa maniera coloro che hanno sprezzato la salvezza che è in Cristo Gesù ed hanno tenuto per profano il sangue di Cristo con il quale erano stati lavati un giorno, sono nel fuoco dell'Ades a piangere dal dolore, senza la benché minima possibilità di ottenere misericordia e di ereditare la salvezza eterna.

Quindi fratelli, stiamo saldi nella fede, non tiriamoci indietro nella prova, sapendo di avere nel cielo una città che ci è stata preparata da Dio, di cui lui è l'architetto ed il costruttore. Essa è la speranza dei santi, ma per potere accedere in questa città d'oro puro, le cui porte sono perle, ed in mezzo alla quale scorre il fiume dell'acqua della vita, limpido come cristallo, è necessario che noi perseveriamo fino alla fine nella fede e nelle opere di Cristo; sì, fino alla fine e non solo per un tempo, allora sì che in quel giorno i nostri occhi contempleranno il Re di gloria nella sua bellezza; allora sì che entreremo nel Regno eterno del nostro Signore Gesù Cristo e ci metteremo a sedere alla sua tavola assieme ad Abra­mo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti. Diletti, vale la pena soffrire per il Signore sulla terra; tenendo presente che noi un giorno gusteremo e vedremo la gloria di Dio per l'eternità vi diciamo fratelli amati: ‘Andiamo avanti con perseveranza, lottia­mo con zelo per la causa del Vangelo, non distraiamoci guardando a destra o a sinistra, ma guardiamo davanti a noi fissando il nostro sguardo su Gesù, capo e compitore della fede, “il quale per la gioia che gli era posta dinanzi sopportò la croce sprez­zando il vituperio” (Ebrei 12:2); anche davanti a noi c'è stata posta una grande gioia, sprezziamo il vituperio pure noi per ereditarla e per sentirci dire in quel giorno: ‘Entrate nella gioia del vostro Signore voi suoi servitori fedeli'. A Dio che ci chiama al suo regno ed alla sua gloria, sia la lode in eterno. Amen.

Giacinto Butindaro

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