La storia del ricco e di Lazzaro raccontato da Gesù è tra i più significativi
per spiegare con dovizia di particolari concernenti il luogo di tormento,
conosciuto con il nome di inferno (Ades in greco, Sceol in ebraico).
Tra le cose che si possono leggere in tale racconto, vi sono anche queste parole che di seguito vi ho citato, sulle quali voglio farvi partecipi di certi ragionamenti.
Eccovi i passi citati nel vangelo di Luca:
«Ed egli disse: Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, onde non abbiano anch'essi a venire in questo luogo di tormento.» (Luca 16:27-28)
Dalla lettura di tutto il contesto del racconto, emerge che il ricco si trovava
nella parte dell’Ades in cui vengono poste le anime sottoposte al tormento delle
fiamme, luogo comunemente conosciuto come “inferno”, mentre Abramo e Lazzaro si
trovavano in quell’altra parte dell’Ades in cui le anime si riposavano e non
erano tormentate dalle fiamme, ma erano nella pace del Signore.
Il ricco, che era pienamente cosciente del luogo in cui si trovava e di quello
che sperimentava con la sua anima, ed aveva persino memoria della vita che aveva
vissuto nella terra quando la sua anima era ancora nel corpo, fa una richiesta
ad Abramo molto particolare, ed è di questa che voglio parlarvi.
Il ricco chiede ad Abramo di mandare Lazzaro ad attestare ai suoi fratelli
“queste cose”, cioè le cose che
riguardavano l’inferno, il tormento che lui stava passando, l’oscurità, la
tristezza, tutto quello che avvolgeva tale luogo terribile. Dalle parole di quel
ricco, prima di tutto si capisce che anche i fratelli facevano una vita che li
metteva a rischio di precipitare all’inferno e suo fratello lo sapeva bene; poi
si comprende che per convincerli il ricco nell’Ades pensava che i suoi fratelli
per essere scossi avevano bisogno di un messaggio molto forte, portato da una
persona risuscitata dai morti, la quale avrebbe dovuto parlare dell’inferno e
del tormento che le anime subiscono in quel luogo e che il loro fratello
deceduto stava passando.
Quindi, quelle parole del ricco la cui anima giaceva all’inferno, ci fa
comprendere che ancora oggi noi dobbiamo annunziare, insieme all’esortazione al
ravvedimento e a credere nell’Evangelo di Cristo Gesù per essere salvati, che le
anime che non si pentono e non credono saranno gettate all’inferno, dove saranno
tormentate giorno e notte. Tale messaggio è forte, completo, non tralascia nulla
di intentato, parla sia dell’amore e della misericordia di Dio verso coloro che
si ravvedono e si convertono, che della fine che aspetta coloro che si rifiutano
di ravvedersi e di credere nell’Evangelo. Inoltre, ai non credenti bisogna
annunziare anche l’inferno, in quanto parlando loro di salvezza, abbiamo anche
il dovere di far sapere loro da che cosa devono essere salvati, cosa è il
pericolo in cui vanno incontro con la morte, che è appunto il tormento
dell’inferno.
Tale è il messaggio completo e pieno di amore e di misericordia di Dio per le
anime perdute, e non importa se queste anime si spaventano sentendo parlare
dell’inferno, perché l’inferno esiste appunto per spaventare i peccatori, per
dissuaderli dal peccare ed esortarli a ravvedersi; quindi, al messaggio di amore
si deve congiungere il santo rispetto e timore verso Dio, prodotto dalla
possibilità di andare a finire nel luogo di tormento in caso non si convertano.
Checché ne dicano coloro che annunziano SOLO la misericordia di Dio e non anche
la sua giustizia e la sua ira che viene riversata sulle anime impenitenti, noi
sappiamo bene, come anche l’apostolo Paolo annunziava sia la salvezza che il
giudizio a venire e l’inferno, come riportato da Luca nel libro degli Atti degli
apostoli:
«Or alcuni giorni dopo, Felice, venuto con Drusilla sua moglie, che era giudea,
mandò
a chiamar Paolo, e l'ascoltò circa la fede in Cristo Gesù. Ma ragionando Paolo
di giustizia, di temperanza e del giudizio a venire, Felice, tutto spaventato,
replicò: Per ora, vattene; e quando ne troverò l'opportunità, ti manderò a
chiamare.»
(Atti 24:24-25)
Avete letto anche voi come Paolo parlò di giustizia, di temperanza e anche del
giudizio a venire al governatore Felice, ed è scritto che egli a sentire le
parole di Paolo era “tutto spaventato”,
quindi si capisce chiaramente che Paolo non gli rivolse solo parole di amore che
lo tranquillizzavano e gli facevano capire che era amato da Dio così com’era, ma
bensì gli comunicò dove sarebbe andato a finire se non si sarebbe ravveduto e
dell’ira di Dio che incombeva su di lui.
Vedete, dunque, cari nel Signore, come sia necessario parlare alle anime perdute
anche dell’inferno, e si devono spaventare a sentir parlare dell’inferno, perché
tale luogo e le sofferenze che le anime passano in esso è terribile, bisogna far
sapere a tutte le anime impenitenti anche queste cose. Nella Bibbia si parla
spesso di inferno e delle sofferenze presenti in esso, non si parla solo
dell’amore di Dio. Far scomparire la giustizia di Dio e la sua ira che si
riversa contro le anime impenitenti e su quelle ribelli, è una cosa scorretta e
sconveniente, prodotta da certi ambienti che sono nemici della verità.
Quindi, cari nel Signore, con le dovute accortezze e con discernimento, è bene
sapere che è un dovere del cristiano quello di annunziare anche l’inferno alle anime
perdute. Badate bene, però, ogni cosa va fatto con discernimento, e deve
risultare chiaro che se una persona inconvertita che è convinta che per i suoi
peccati Iddio lo getterà all’inferno, allora è bene annunziargli soprattutto la
misericordia di Dio che libera e purifica da tutti i peccati; mentre a coloro
che si sentono giusti e pensano di non meritare l’inferno, allora bisogna
parlargli dell’inferno e di coloro che vi vengono precipitati in esso. Pregate
Iddio che vi doni sapienza in ogni cosa, anche nell’annunziare queste cose, ma è
del tutto sbagliato dire che alle anime perdute non bisogna parlare loro
dell’inferno per non spaventarle, perché non è biblico, perché è una menzogna,
una macchinazione del diavolo.
Giuseppe Piredda